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SUL MASCHILE E IL FEMMINILE

In sintesi…
Il Maschile e il Femminile sono dimensioni che esistono e che possono essere considerate solo in relazione l'una all'altra: non esistono di per sé.
Al di là delle caratteristiche che per l'una o per l'altra le tendenze culturali accentuano più o meno di volta in volta nelle epoche storiche esse sono fondamentalmente le due polarità energetiche con cui si manifesta l'essere umano (come pure molti altri esseri viventi). Ognuna con la sua specificità e che tendono spontaneamente a cercare una compenetrazione in forma di attrazione/conflitto che non trova mai definitiva composizione ma che dona basilari equilibrio e vitalità necessari a tutti noi. Tale rapporto tra queste due polarità energetiche non può essere cercato tra astratte “polarità” magari all'interno di uno stesso individuo, ma tra due individui di sesso diverso perché solo in questa forma incarnata esse vivono.
Nell'attuale cultura occidentale moderna dominante c'è un'enorme confusione sulla realtà fondamentale di quest'aspetto dell'esistenza ed una grave perdita di conoscenza rispetto al passato e a civiltà di origine non europea. Ciò ha pesanti conseguenze per il tipo di società in cui viviamo - dal momento che la dimensione privata ha un'incidenza sulla Storia infinitamente maggiore di quanto venga riconosciuto - e non è che uno dei vari aspetti della deriva consumistica e sradicata dalla Natura di questa triste epoca.
Il percorso che, nel giro di meno di un secolo, ha portato a una tale situazione viene descritto come una strada di emancipazione da ignoranza e schiavitù per le donne e per la società in genere. Se pure in questo c'è una parte di verità, con una rilettura critica, possiamo trovarci anche molte unilaterali ed improprie semplificazioni. Il maggior potere che hanno oggi gli individui-donne non è stato guadagnato elevando il peso storico della dimensione esistenziale del Femminile che esse portano in sé, ma - semmai a suo discapito - su un terreno prettamente maschile che tale è rimasto mentre al contempo la cultura e le forme esteriori della comunicazione si sono femminilizzate.
Lungi dall'essere, questo, un percorso di reciproca comprensione, ci ritroviamo ora con l'enorme confusione di un Maschile che non è un Maschile ed un Femminile che non è un Femminile e con la diffusa pretesa che tali concetti non corrispondano che a categorie culturali e a ben poco di primario, perdendo così la consapevolezza di cosa questi significhino in realtà e la capacità di valorizzare autenticamente il rapporto tra queste due dimensioni alle quali tutti/e apparteniamo.
Tanto, invece, queste due polarità energetiche sono reali e radicate nella Natura (non manipolabili culturalmente a piacere - non, almeno, appena sotto la superficie) che è possibile descriverle ispirandosi a una serie di corrispettivi tra la forma fisica dei rispettivi apparati sessuali e quella caratteriale dell'uomo e della donna, a partire dal fatto che “l'uomo è esterno e la donna è interna”….

(versione PDF)

Uno degli aspetti dell'attuale condizione di vita sempre più lontana dalla nostra propria base naturale è quello della confusione nei rapporti tra uomini e donne .
Attualmente i rapporti sono inquinati da una enorme inconsapevolezza delle reciproche posizioni, della polarità energetica, del ruolo reciproco del Maschile e del Femminile: c'è, apparentemente, la presunzione che si tratti di condizioni pressoché equivalenti e quasi interscambiabili alle cui differenze anatomiche non corrispondano altrettante differenze a tutti gli altri livelli dell'esistenza e dell'espressione umana o che, pur riconoscendo questo, ciò non comporti un rispettivo specifico modo di rapportarsi all'altro a partire da una determinata condizione/posizione relativa.
Relativa è importante perché bisogna tener presente che il Maschile e il Femminile vanno considerati sempre reciprocamente, sono per loro natura due aspetti della stessa realtà: sono in effetti le due modalità in cui esistono gli esseri umani (ed anche quasi tutti gli altri animali e non solo) - quanto a gli omosessuali, che di fondo sono anche loro o maschi o femmine, parlerò in un altro testo ad hoc.
Ricordo una volta, parlando dello Yin e dello Yang con un conoscente cinese, lui disse che non si può dire se una cosa sia in assoluto yin o yang, ma che bisogna sempre specificare rispetto a quale altra lo sia, ovvero all'interno di quale sistema energetico. Una cosa è yin o yang rispetto ad un'altra che è l'inverso rispetto ad essa relativamente a quel rapporto, così le energie all'interno di un sistema/rapporto si polarizzano spontaneamente dando vita a (o mantenendo in vita) la danza dinamica che lo costituisce.
Per questo non ha senso in realtà parlare di uomini e donne, intendendo le loro peculiarità di maschi e femmine di per sé, e meno che mai ha senso l'atteggiamento di una certa corrente delle femministe (spero ormai estinta) cosiddette “separatiste” (ma in modo occasionale o non altrettanto assoluto condiviso anche da altre donne con posizioni meno estreme) che pretendono di ritrovare la loro dimensione profonda specifica femminile ritrovandosi solo tra donne. E un giudizio analogo si potrebbe dare a certi discorsi da bar sulle donne in cui a volte gli uomini cercano compensazione tra di loro alle frustrazioni scontate nel loro rapportarsi (o nella loro incapacità di farlo) con l'altro sesso.
La realtà è esattamente il contrario: è proprio all'interno del rapporto con l'altro sesso, con tutte le sfaccettature che lo formano dall'attrazione al conflitto alla differenza all'incomprensione, alla complementarietà ecc….. che sia un uomo che una donna approfondiscono la consapevolezza della propria rispettiva identità di genere. Del resto bisogna sempre tenere presente una di quelle verità così basilari e reali da suonare come la quintessenza della semplice banalità: l'esistenza stessa dei sessi ha ragione di essere solo in quanto questi sono per loro natura in rapporto l'uno all'altro. Altrimenti non esisterebbero neanche: non esisterebbe la dimensione sessuale nella vita se non ci fossero il Maschio e la Femmina; non è che debbano la loro ragione di essere alla necessità o al gusto di qualcuno di farci sopra disquisizioni sociologiche, psicologiche o antropologiche che prevedano anche solo teoricamente una qualche indipendenza dell'uno dall'altro. Ed è semplicemente assurdo e paurosamente superficiale pretendere che si tratti in fondo di invenzioni culturali giustapposte su forme fisiche di per sé prive di caratteristiche specifiche non corporee.
Né bisogna cadere nell'astrazione considerando il Maschile ed il Femminile come due archetipi immaginari staccati dai corpi: la conseguenza pratica del discorso di poco sopra su lo Yin e lo Yang nelle nostre vite va inteso correttamente.
Non si tratta di una sorta di interscambiabilità degli individui per cui in un dato momento/situazione io (maschio) posso essere yang e tu (femmina) yin ed in un altro contesto viceversa . Al contrario si tratta del fatto che ogni individuo maschio o femmina, cerca di trovare quell'altro individuo reciprocamente (e fisicamente oltre che energeticamente) del sesso opposto col quale la giusta polarità yin/yang prenda forma in modo equilibrato, anche se pur sempre dinamico. Ciò che naturalmente, anche inconsciamente, si cerca non è se io sono yin o yang all'interno di una data situazione, ma di trovare o di rendere la situazione (o aggiustarsi rispetto alla situazione data) in modo tale che io possa esprimermi come yang se sono un maschio o yin se sono una femmina: non è che la 'situazione' ci agisce rendendoci yin o yang di volta in volta, ma siamo (le forze energetiche polarizzate in ) noi che ci fanno muovere (creare) le situazioni nel tentativo di esprimerci compiutamente in quanto yang ( se siamo maschi) o yin (se femmine) secondo la nostra natura.
Certamente è pur vero che all'interno di un certo rapporto ci sono passaggi in cui una donna può avere una posizione che ha tratti più normalmente “maschili” rispetto all'uomo e viceversa, ed altrettanto succede che anche fra due persone dello stesso sesso prenda forma una polarità yin/yang reciproca (il che peraltro conferma che, anche in questo caso, tale è la forma in cui i rapporti si danno in natura), ma si tratta di situazioni momentanee, limitate a situazioni specifiche, di variazioni sul tema di fondo che si presentano, ma solo a livello superficiale e che non cambiano il quadro generale (1).
Quando questo invece avviene in modo permanente e che mette radici nella condizione/comportamento di una persona, allora ci troviamo di fronte ad una situazione patologica che si manifesta in varie possibilità di squilibri caratteriali tra cui l'omosessualità (di cui appunto parlerò altrove). Alla base di tali squilibri possono esserci ogni sorta di cause, ma certo una parte importante è data anche dalla visione socio-culturale specifica di una determinata comunità su ciò che viene considerato generalmente “maschile” e “femminile”.
Spesso, se la mancanza di consapevolezza di sé stessi e di ciò che si sente realmente è diffusa nella maggioranza delle persone, si radicano nei quadri di riferimento collettivi immagini artificiose e fuorvianti, soprattutto parziali, unilaterali, al riguardo, che non corrispondono alla complessità di ciò che vive realmente dentro di noi. Per questo motivo ad esempio si creano luoghi comuni per cui il vero uomo non piange mai o non ha nessuna inclinazione alla tenerezza e non ha nessuna sensibilità estetica o cura per l'ambiente in cui vive oppure che la donna non può esprimere la sua forma di forza, coraggio, combattività, capacità di gestione ed organizzazione, come anche esplicito appetito sessuale senza per questo entrare apparentemente in contraddizione (anche davanti a sé stessa) con la propria identità integralmente femminile. Davanti a queste contraddizioni in cui ci ritroviamo con aspetti di noi stessi che non sappiamo come collocare l'Occidente moderno sembra non saper far di meglio che rigettare come superata e falsa qualsiasi considerazione delle identità Maschile e Femminile dotate di caratteristiche innate e ruoli specifici e reciproci naturali attribuendo qualsiasi differenza reciprocamente significativa e non strettamente anatomica e riproduttiva a fattori culturali. In questo modo si affida alla Cultura sia l'origine di tutti mali (alla cultura tradizionale) che la possibilità di tutte le soluzioni ( a quella moderna orientata al progresso) relegando la Natura ad uno status di neutrale materiale di costruzione.
Il risultato di ciò, che sta concretamente, mi pare, davanti agli occhi di tutti, è che la confusione regna sovrana nei rapporti fra i sessi (con buona pace delle onnipotenti capacità creative delle soluzioni culturali innovative) e che si va perdendo un'ottima occasione di autocritica culturale. Un'autocritica che in prima battuta riconosca la parzialità e l'unilateralità della visione culturalmente data di maschile e di femminile tipica della nostra tradizione specifica, ma che, più profondamente, sappia cogliere l'origine di questi limiti, che sta, a mio avviso, fondamentalmente in una mancanza di consapevolezza, di capacità di (auto)osservazione imparziale e proprio del saper basare su questa e non su presupposti culturali la nostra visione di ciò che sono (e reciprocamente) il Maschile e il Femminile. Il fatto stesso che, discutendo questo tema, si avverta il bisogno di sottolineare che delle caratteristiche dei due sessi si intende parlare in termini reciproci - il che dovrebbe essere implicito - rende bene l'idea di quanto le nostre considerazioni su questa materia non si basino abitualmente sull'osservazione delle cose così come sono.
Ciò che però - e al di là delle immagini mentali indotte dalle mode culturali - troviamo di fatto normalmente (ma in fin dei conti suppongo anche in molti rapporti omosessuali, sebbene lì non possa mai realizzarsi appieno) è la ricerca (non sempre consapevole), da parte di ognuno, di un partner col quale avvenga proprio quel particolare rapporto che è soddisfacente in quanto in esso si realizza (sempre comunque in modo dinamico) quel particolare equilibrio di Maschile (M) e Femminile (F) (ma con quella specifica miscela di M ed F che è propria agli individui coinvolti) che permetta, al maschio in quanto elemento maschile e alla femmina in quanto elemento femminile della coppia di trovarsi a proprio agio, di sentirsi appieno del proprio sesso rispetto all'altra persona/polarità (“tu mi fai sentire donna”, “con te mi sento un uomo”). In questo senso va inteso il chi è yang rispetto a chi, chi è yin rispetto a chi di cui sopra, almeno se usciamo dalle situazioni contingenti specifiche e momentanee e consideriamo la cosa complessivamente e sul lungo periodo della vita di una persona.
Ma soprattutto il M e F che già sono diventano pienamente M e F nel rapportarsi reciprocamente. Il fatto che bisogna vedere di volta in volta chi è yin (o yang) rispetto a chi, e con ciò che si tratta di polarità relative e variabili, non significa che siano interscambiabili, ma che, tra le varie potenzialità che in diversa misura contengono, esprimono quelle più proprie e peculiari in un contesto vitale ed ordinato l'una in rapporto all'altra.
Quindi sono sé stesse, ma diventano sé stesse nel rapporto. E' la Realtà/le cose che esprimono sé stesse in quanto polarità reciproche inscindibili.
Ovvero, se consideriamo le situazioni in modo spicciolo e casuale, gli elementi di volta in volta presenti tendono comunque a polarizzarsi per polarità energetiche (il che è la dimostrazione che tale è la modalità spontanea di funzionare delle cose), ma se guardiamo più ampiamente al percorso nel lungo periodo che questi elementi vanno facendo, essi tendono a cercare la realizzazione di queste polarità energetiche in modo più appropriato e completo, che rivela ancor più manifestamente e a tutti i livelli la modalità di funzionamento di questa forza.
Non a caso troviamo donne che, dopo aver ostentato per anni un atteggiamento di sfida verso gli uomini contestandogli il fatto di essere “maschilisti”, finiscono per mettersi definitivamente con un uomo che, non avendo nessun senso di colpa nell'essere maschio, ha su di loro l'effetto di farle accettare tranquillamente il proprio ruolo di donne, diciamo pure di “metterle a posto”; così come pure troviamo uomini che non vogliono mai prendere un atteggiamento responsabile nei loro rapporti con le donne intendendoli in senso consumistico, finché è proprio quella che più che mai si pone nella condizione di donna, magari dandogli un figlio inaspettato, che li fa calare spontaneamente in un ruolo di stabilità.
Non voglio dire che ognuno di noi è in cerca o è destinato a trovare la sua “anima gemella” prescrittagli da chissà cosa, magari dai geni, né che una tale persona esista. Certo, tra tutte le persone dell'altro sesso ce ne sono solo alcune con cui è possibile realizzare la nostra particolare miscela di M e F dal punto di vista dei nostri tratti fisici, caratteriali, psicologici, culturali ecc ecc, e non con tutte queste nello stesso modo o misura. Inoltre, e al di là di tutto, il fatto che i rapporti reggano o meno dipende dalla volontà (o meno) di rimanere insieme pur dentro a tutte le difficoltà, almeno finché sentiamo che c'è una Vita che scorre dentro a questo stare insieme, ma moltissimo dipende anche dall'importanza che diamo ad un rapporto nella fase della nostra vita in cui ci incontriamo, dalle idee e dalla consapevolezza che abbiamo sviluppato in proposito, da come abbiamo elaborato le esperienze precedenti.
Ma moltissimo dipende dalla chiarezza che abbiamo riguardo alle modalità fondamentali secondo cui funzioniamo in quanto polarità energetiche Maschile/Femminile e dalla nostra apertura a farci manifestazione vivente di queste energie (che comunque in realtà già del tutto siamo). Una chiarezza che può esserci tutta anche senza essere teorizzata, ma solo agita.

Come dicevo, mi pare che di questa chiarezza nelle società occidentali moderne ce ne sia ben poca ormai.
Con l'avvento della civiltà industriale la vita tradizionale basata sull'agricoltura è finita : era uno stile di vita in cui era centrale la dimensione familiare, anche allargata, il rapporto diretto fra le persone che cooperavano materialmente sui propri bisogni di sussistenza perlopiù senza mediazione monetaria, in cui l'ambito domestico e poderale o del villaggio/paese coincideva con l'orizzonte sociale della stragrande maggioranza delle persone. Tutto ciò ha ceduto il passo ad un mondo in cui la perdita di radici locali, la meccanizzazione del lavoro/massificazione dei lavoratori, l'innalzamento delle aspettative nei consumi (più che nei consumi reali delle masse, almeno in una lunga prima fase dello sviluppo capitalista), l'alfabetizzazione, la diffusione dei mezzi d'informazione/propaganda/pubblicità, hanno allargato questo orizzonte a ciò che chiamiamo “pubblico” oggi, la Società, davanti alla quale l'ambito domestico era nulla. Il contadino e la contadina che rimanevano relegati a questa dimensione vedevano sempre più sé stessi di fatto fuori dalle fonti del reddito monetario salariato, quindi dalla “ricchezza” (la nuova forma che questa prendeva) e dunque dalle fonti del potere (anche quello spicciolo, sulle proprie vite), e fuori dalla Storia, il piano su cui si muovevano tutte le cose che davano dignità autenticamente umana.
Di qui una trasformazione quasi obbligata, seguendo le promesse del progresso e della modernità: da contadini ad operai.
Era l'uomo che andava in fabbrica e portava a casa il salario, così come prima era lui a lavorare con gli attrezzi agricoli e gli animali da traino (le “macchine” di allora), così come era lui a spingersi nel mondo lontano dalla casa per procacciare il necessario per la famiglia. Ma, se prima questo suo compito concorreva insieme con quello della moglie a sostenere sé stessi, i figli, gli anziani; se maschi e femmine a vario titolo producevano il necessario direttamente e non attraverso il denaro, se non in parte collaterale almeno, ora e sempre di più (fino ad oggi in cui ciò avviene in maniera esclusiva) tutto il necessario e l'eventuale benessere ottenuto o desiderato, veniva passando per la mediazione del denaro.
Il denaro non lo si produce in casa: occorre uscire, entrare in un sistema/mondo strutturato in maniera capitalistica/industriale che ha una sua propria gerarchia, tempi, ritmi, necessità, che produce una mentalità, delle aspirazioni, dei suoi valori, una sua cultura, e da lì si porta a casa il denaro, che ha valore poi solo spendendolo di nuovo in relazione a questo stesso sistema/mondo da cui si comprano i beni. Essere parte di questo sistema/mondo, per quanto in una posizione infima, significava essere in qualche modo direttamente collegati a ciò che si diceva e si muoveva in giro, ai mutamenti sociali, di costume, tecnologici, culturali nel senso più ampio del termine, si faceva parte della Società e della Storia, due idee che fino allora nella mentalità della gente comune semplicemente non esistevano.
Le donne, che all'inizio stavano a casa, erano fuori da tutto questo; lo vivevano semmai di riflesso attraverso racconti e notizie che gli venivano dagli uomini e, materialmente, attraverso ciò che si poteva acquistare (cose mai viste prima a volte) con i soldi che gli uomini guadagnavano.
Infatti sempre di più, via via che questa trasformazione prendeva piede, le giovani preferivano sposare operai ed avvicinarsi alle città: per i contadini ed ancor più per i montanari diventava sempre più difficile trovar moglie e questo, al di là di tutte le possibili considerazioni più prettamente economicistiche, contribuì in maniera decisiva all'abbandono dell'agricoltura e alla fine della civiltà contadina (2).

Qui, in questa fase critica di passaggio, e non nella condizione precedente agricola, si trova l'origine di quel senso di subalternità/inferiorità in cui le donne hanno avvertito di esser tenute da parte degli uomini ed a cui poi si sono ribellate con i movimenti femministi. Nel sistema precedente, basato sul legame con la terra, la parte che le donne svolgevano era fondamentale in modo evidente: in primo luogo i figli erano una ricchezza anche per gli uomini in quanto erano anche braccia che avrebbero lavorato, mentre nel sistema industriale erano solo bocche da sfamare, e quanto alle mille occupazioni affidate alle donne nella casa, nel cortile, nell'orto, alla fonte, al mercato e anche nei campi, queste erano chiaramente parte indispensabile del sistema produttivo integrato della fattoria, senza le quali gli uomini non sarebbero potuti andare avanti. Inoltre, nel lavoro della fattoria, non solo la donna lavorava a casa, ma anche l'uomo, se consideriamo che nel podere casa e campi sono un'unica entità e le sorti economiche di tutti i membri della famiglia erano legate da un unico destino, che dipendeva dai raccolti all'esito dei quali concorreva la partecipazione di tutti, se non in misura eguale, certo in misura egualmente irrinunciabile.
E' vero certamente che esistevano forme di rispetto e di deferenza della donna verso l'uomo che esprimevano sottomissione e c'erano anche prepotenze e violenze, ma non si può dire che ora non ve ne siano (questo dipende anche dagli individui e non solo dal sistema in cui vivono) e quanto a queste forme esteriori certo c'è del vero, ma bisognerebbe capire e distinguere più approfonditamente ciò che era effettiva sottomissione o stato di inferiorità e ciò che invece poteva essere un modo di fare per darsi i rispettivi ambiti e spazi secondo la conoscenza che ancora si aveva delle diverse caratteristiche e polarità energetiche (M/F).
Va anche tenuto presente che, al di là di ciò che si mostrava all'esterno - anche come una forma di sostegno all'uomo nel suo ruolo pubblico sempre anche implicitamente di “guerriero” (difensore della famiglia) - per quanto riguarda le questioni domestiche, che allora coprivano la gran parte dell'esistenza, era spesso la donna che aveva la parola decisiva, e del resto i rapporti con l' “esterno” della famiglia (entità allora peraltro di per sé già ampia) erano con altre persone per le quali pure la vita ruotava interamente intorno ad una dimensione domestica/poderale ( tranne i padroni, che infatti appartenevano a un altro mondo). Inoltre bisogna anche ricordare che la stigma sociale in caso di abbandono della moglie era una fortissima garanzia per lei ed un decisivo elemento di spinta per l'uomo a prendersi la sua responsabilità come parte portante di una coppia/famiglia (difficilmente quell'uomo ne avrebbe trovata un'altra, che peraltro gli era necessaria, all'interno della stessa comunità locale, dalla quale non gli sarebbe stato così facile uscire).
Ad ogni modo uomo e donna erano allora parte di un unico sistema nel quale entrambi (ed attenzione, non entrambi in quanto individui, ma proprio in quanto maschio e femmina) erano parti integranti e necessarie: lo status di fatto della donna era quello di una componente indispensabile di un'entità famiglia (e di riflesso comunità) che era in sé stessa il mondo conosciuto, sia per gli uomini che per le donne. Ed era un mondo che aveva socio-psico-culturalmente un suo ordine ed una sua armonia in cui ognuno aveva un suo posto e nessuno era inutile, anche se, come in tutte le condizioni umane, ci saranno sempre stati motivi di insoddisfazione.
Non penso che i movimenti femministi siano nati nella fase storica in cui questo sistema agricolo-contadino veniva meno perché è stato allora che le donne hanno avuto la possibilità di ribellarsi al giogo che le avrebbe tenute schiave da sempre. Non credo che l'andare anch'esse a lavorare in fabbrica e/o uffici e guadagnarsi i soldi era ciò che aspettavano per farsi valere ed “emanciparsi”.
Intendo che sarebbe un errore pensare ingenuamente che lo sviluppo industriale avvenuto in Occidente tra il XIX e il XX secolo sia stato un processo di generale emancipazione dalle mille schiavitù di cui era prigioniera l'umanità fino allora e in cui questa stessa umanità si è buttata a braccia aperte per trovarvi la liberazione ed il progresso. No: il fatto è che la gente era povera perché i contadini nella stragrande maggioranza dei casi non erano proprietari della terra che lavoravano, perché gran parte di ciò che riuscivano a produrre dovevano darlo al padrone che viveva di rendita: la loro schiavitù, che prendeva tutta la loro vita, non era nei confronti della terra, ma del padrone. Vivere di un salario era liberarsi di questa appartenenza integrale alla proprietà di un padrone: era dare tempo e lavoro e ottenerne in cambio soldi e, su quei soldi, per pochi che fossero, si era liberi, ci si faceva ciò che si voleva (e quindi, su questo piano, si era in linea di principio pari al padrone: messo il rapporto su un piano puramente monetario la differenza di status diventava nominalmente solo quantitativa - una rivoluzione per chi aveva il proprio destino sostanzialmente legato alle sorti del podere che lavorava e che apparteneva a qualcun altro la cui condizione era totalmente, irragiungibilmente diversa). Questi soldi erano qualcosa di sganciato da ogni altra, mentre in un'economia integralmente agricola nulla era sganciato da ogni altra cosa, e se la base di tutto, la terra, non era propria, neanche la propria vita lo era.
Non credo che siano stati molti allora i piccoli proprietari contadini che, pur cavandosela bene, hanno preferito abbandonare tutto e lavorare in fabbrica in nome del 'progresso'.
Ovviamente la dipendenza (anch'essa in altro modo integrale) da un salario ottenuto dal lavoro su mezzi di produzione anch'essi di proprietà altrui, insieme alla progressiva perdita di ogni altra base di sostegno sia materiale che culturale causata dalla disgregazione sociale dovuta all'industrializzazione, non ha certo portato ai lavoratori di allora maggiore libertà. Ma l'illusione, certo, poteva esserci, specialmente se consideriamo che, via via che l'industria attraeva sempre maggiori investimenti, promettendo maggiori profitti, gli stessi proprietari terrieri si rivolgevano preferibilmente a questo nuovo campo e trascuravano sempre più i fondi rurali, e per primi ovviamente i lavoratori che da essi dipendevano.
L'adesione di massa alla fabbrica e al lavoro salariato è stata una necessità, non una libera scelta, e non è stata una emancipazione, bensì un passaggio da una forma di sfruttamento con ritmi lenti ad un'altra con ritmi molto più veloci.
Ciò è valso anche per le donne al momento in cui sono entrate a lavorare nel sistema industriale, per necessità di reddito familiare (via via che si perdeva anche ciò che restava della dimensione precedente ancora connessa almeno in parte alla terra e alla comunità locale ad essa legata) ed in modo massiccio poi in tempo di guerra quando gli uomini erano al fronte.
Si è trattato di una necessità, ma a questo punto, una volta entrate nel sistema, le donne hanno voluto (non aprirvisi il loro spazio in realtà, perché quanto alle modalità di starvi dentro hanno perlopiù replicato quelle degli uomini, ma) ottenere anch'esse sempre più una importanza ed una parte nelle decisioni non secondaria a quella dell'uomo, dato anche che, nella civiltà delle macchine, la superiorità fisica dell'uomo non è più un elemento rilevante.
Ma non è che, una volta trovatesi nel contesto moderno e cittadino, le donne si sono accorte di quanto erano sfruttate e sottomesse prima: è, al contrario, che proprio quando si sono trovate in un tale contesto, ma rimanendone ai margini, in un ruolo che, confinato in una dimensione domestica e familiare/privata a cui non era riconosciuto più un valore fondante, se escluse dalla possibilità di produrre direttamente reddito monetario (il valore decisivo nella nuova situazione), si sono sentite, e spesso non senza ragioni, in una condizione di subalternità, quasi di inutilità ed inferiorità e, in un senso soprattutto esistenziale, di sfruttamento da parte dell'uomo/marito.
A questo punto non rimaneva che entrare del tutto nel sistema e combattere con le stesse armi e sullo stesso terreno degli uomini, e possiamo dire, oggi che questo processo è arrivato alle sue conseguenze avanzate, con un notevole successo anche, ma al prezzo di mettere in questione il senso dell'esistenza dell'essere uomo e dell'essere donna e della propria stessa capacità come donne di conoscere e valorizzare il proprio essere in quanto Femminile.
E' giusto e comprensibilissimo che, una volta nella dimensione cittadina e dell'impiego salariato, dei valori monetari/consumistici e dell'orizzonte sociale della dimensione pubblica, le donne non potessero più trovare una realizzazione, un senso di vita ed una gratificazione sociale nel loro ruolo tradizionale legato alla dimensione relazionale e domestica, di ciò che è interno, di mogli e di madri. Negli spazi cittadini, negli appartamenti dei condomini dove le cure della casa sono relativamente poca cosa, con le varie istituzioni pubbliche e private a cui vengono affidati i figli per i vari aspetti della loro formazione fisica, culturale e sociale (scuola, asili, palestre, corsi di ogni genere ecc…), con la progressiva nuclearizzazione delle famiglie e la disgregazione sociale della vita metropolitana, la scomparsa del quartiere come versione trasformata del villaggio, è naturale che la condizione di “donna di casa”, “angelo” di un focolare che non esiste più, non poteva essere che una grande frustrazione. La casalinga frustrata è infatti un personaggio-luogo comune del nostro immaginario contemporaneo, sebbene oggi come oggi, di casalinghe a tempo pieno, credo ne siano rimaste poche e, credo, solo agli estremi della scala sociale, o per disoccupazione o per rendite sufficienti a non aver bisogno di lavorare, ma in questo caso, non dovendosi neppure occupare di curare la casa, non si può neanche parlare di casalinghe.
Le donne oggi dunque perlopiù lavorano e un po' in tutti gli ambiti delle occupazioni, della produzione e delle professioni. Ma che questo sia davvero una scelta ( nella gran maggioranza dei casi intendo) e che sia davvero un bene per la società, per le condizioni di vita delle persone, uomini, bambini, anziani e delle donne stesse credo sia in realtà molto discutibile.
E' stata una genuina valorizzazione del ruolo delle donne quella di mettersi sul piano del mondo del lavoro in modo indifferenziato rispetto agli uomini?
Si lamenta ancora oggi che ciò non si sia ancora realizzato abbastanza: messi sullo stesso piano del mercato del lavoro uomini e donne vivono una sottile latente concorrenza che ognuno combatte con i propri strumenti (che non sono solo quelli delle capacità professionali) e viene anche da sé che ci siano di fatto ambiti di occupazione che impiegano maggiormente donne (insegnamento, sanità, assistenza, pubbliche relazioni, estetica, comunicazione…) che uomini a conferma dell'impossibilità di una completa indifferenziazione nei settori occupazionali. Non solo, ma si sono create e/o diffuse ed articolate in numerose varianti perfino tipologie professionali e relativi modelli di donna, ampiamente supportati nella pubblicità, nel mondo dello spettacolo e nell'industria del divertimento che rappresentano in egual misura, secondo i punti di vista, tanto l'appropriazione da parte delle donne di quella forza del business che sta rendendo commerciabile ogni aspetto della nostra vita, quanto l'appropriazione delle donne da parte di questa stessa forza.
Mi riferisco a tutte quelle figure professionali femminili (ma ormai ce ne sono anche di maschili) che fanno dell'ostentazione e dell'uso del proprio appeal sessuale la sostanza del proprio lavoro: si va dalla velina televisiva, alla modella, alla cubista, alla pseudo-cantante o attrice di cui conta solo il look, alla pornodiva, all'accompagnatrice di alto bordo, alla prostituta schietta ecc… . Ciò che in epoche passate era appannaggio di un ristretto gruppo di ballerine, cortigiane e prostitute tenute in bassa considerazione sociale e generalmente costrette a questo uso del proprio corpo da una condizione socioeconomica che non consentiva alternative, diventa oggi condizione ambita da molte giovani donne con ogni altra possibilità di futuro che preferiscono invece questi generi di carriera perché vedono chiaramente quanto essi si svolgano all'interno di quelli che sono ormai settori talora direttamente o indirettamente anche molto significativi dell'economia e senz'altro della cultura di massa di un paese, con i conseguenti vantaggi intermini di reddito, successo e potere (per quanto informale, ma vero e proprio potere nell'attualità quotidiana della vita a tutti i livelli della Società) che ciò può dare.
Ma, a monte di tutto questo, molto prima di queste conseguenze estreme attuali, non c'è forse un profondo errore nel riconoscimento o meno del valore che hanno alcune cose fondamentali per la nostra vita? Non c'è forse una assegnazione dei posti nella scala dei valori stabilita da un punto di vista che è in realtà unilateralmente maschile (ancorché sia stato interiorizzato inconsciamente dalle donne)? Non è forse sui gradini di questa scala di valori che si collocano gli odierni successi della rampante aggressività femminile?
Il vizio di fondo di cui parlo è sempre meno manifesto nella sua fondamentale matrice maschile, tanto più quanto più nella realtà corrente l'atteggiamento maschile e quello femminile appaiono indifferenziarsi; ma, pur essendo un vizio di origine occorso all'inizio dell'industrializzazione, del percorso del crescente consumismo ovvero della modernità di massa, è a tutt'oggi ben vivo e presente in ciò che sta accadendo proprio ora.
Secondo questo vizio di fondo, proprio di una prospettiva tutta maschile della realtà, non si è voluta riconoscere e tutt'ora non si riconosce a sufficienza l'importanza quantomai fondamentale di tutto ciò che riguarda la qualità della vita nella dimensione interna, privata, relazionale, domestica, della cura dei figli, degli anziani, del calore umano, della presenza affettiva: della capacità di attenuare i contrasti con la pazienza, dell'accoglienza e dell'ascolto, del riconoscimento spontaneo del valore reale della vita versus quello relativo delle idee; della capacità di far vibrare nel corpo e nell'anima l'energia ed il piacere di esser vivi e completi così come siamo nell'unione con un'altra persona fisica, corporea e viva e diversa da noi così com'è; dell'importanza di trovar pace e bellezza in quella che chiamiamo la nostra casa dove tornare, dell'importanza della cura delle piccole cose in questo ambiente; del gusto e della salute nel cibo; della disciplina e la completezza che dà il quotidiano confronto con una persona di sesso opposto; di quanto conta per il futuro stesso della Storia e della Società il formarsi della struttura caratteriale delle nuove generazioni, ovvero i nostri figli, per la quale sono decisivi già i primi anni di vita, della qualità dell'ambiente umano e relazionale in cui crescono; della quantità di conoscenze dirette relative alle dinamiche interpersonali, come anche a mille questioni pratiche della vita quotidiana che le madri hanno sempre trasmesso alle figlie, ma anche ai figli, al mantenimento della dimensione familiare domestica anche come luogo della trasmissione della memoria storica ed esperienziale in via personale e diretta tra le generazioni e non solo come lettura sui libri; e del riconoscimento fattivo della fase più avanzata della vita umana come qualcosa dotata di senso e di valore da cui discende il mantenimento di un legame ed un punto di riferimento anche per gli anziani che possano non vergognarsi di essere vecchi.
Il valore portante per tutti gli individui e per la società e la sua storia ed evoluzione nel suo insieme, la cultura e la forma mentale psicologica, caratteriale, comportamentale a tutti i livelli che ne derivava è stato semplicemente ignorato dagli uomini (intendo qui i maschi) durante il lungo passaggio della modernizzazione di massa perché si trattava di cose che essi avevano sempre avuto dalle donne (o nell'aspetto della loro vita che era il rapporto con esse) e che davano per scontate. Né più né meno che l'aria e l'acqua fresche e pulite che si davano per scontate mentre le si stava inquinando per i secoli a venire.
Ed attenzione: non sto qui facendo con questo paragone una sorta di equazione uomo-cultura-progresso/donna-natura-tradizione, al contrario: sto dicendo che nel non vedere l'inestimabile importanza del ruolo tradizionale delle donne in primo luogo per sé stessi, e nel non riconoscerne il valore all'interno della stessa prospettiva con cui guardavano alla Storia, alla Società e ai fattori-motore dell'evoluzione dell'Umanità come orizzonte, gli uomini hanno misconosciuto la loro stessa propria natura di esseri corporei, emozionali, sessuali, legati indissolubilmente a tutta la vita e all'ambiente che li circondava ed hanno sviluppato sistemi teorici, tecnologici e comportamentali i cui effetti sono stati conseguentemente in linea con questa ignoranza di fondo.
Così come hanno ignorato quanto di conoscenza, di saggezza e di equilibrio, di salute e di autentico progresso sarebbe venuto dal riconoscimento, come altrettanto fondamentali dei propri, dei valori di cui erano portatrici le donne nel loro ruolo.
Se un tale riconoscimento ci fosse stato non si sarebbe tradotto in quella che va oggi sotto il nome di “parità” tra i sessi che è in realtà la pretesa, peraltro illusoria, di intercambiabilità, o in-differenza, tra i sessi. Sarebbe stata e sarebbe, al contrario, il riconoscimento come altrettanto fondamentali e indispensabili, oltre che inscindibili, delle due modalità in cui si dà l'essere umano in natura con tutte le loro manifestazioni, implicazioni e conseguenze, anche sul piano culturale, che interagiscono a partire dalla consapevolezza di sé stessi in relazione all'altro, ognuno secondo il proprio ruolo.
Sono convinto che, se la dovuta considerazione sociale, generale e specialmente da parte degli uomini, con le adeguate conseguenze anche sul piano degli strumenti legali, previdenziali, educativi, culturali ecc… da parte dello Stato, ci fosse in questo senso, moltissime donne tuttora preferirebbero dedicarsi a spendere il proprio tempo e le proprie energie in occupazioni inerenti quegli ambiti della vita che sono sempre stati, in ogni tempo e in ogni luogo - nella sostanza, se andiamo al di là di superficiali varianti particolari che non cambiano la questione - tranne che nella modernità occidentale, appannaggio delle donne.
E' chiaro che questo necessita di un adeguato sistema economico e di facilitazioni e di garanzie anche pubbliche che non lascino la donna che volesse scegliere in questo senso in totale balìa del destino della sua relazione di coppia col suo uomo come sarebbe stato una volta - se nonché allora c'erano anche meccanismi socioculturali condivisi che controbilanciavano efficacemente questo pericolo rendendo molto improbabile che una coppia si separasse, non ultimo il fatto che l'amore o l'innamoramento non era l'unica motivazione centrale nel matrimonio (il che forse non mancava anche di una qualche misura di saggezza).
Oggi la mentalità è radicalmente cambiata e - sebbene questa frase possa suonare in contraddizione con quanto sto andando dicendo, ma vedrò più avanti di spiegarmi meglio - non si può tornare indietro su nulla nella Storia.
Occorrerebbe quindi tutto un assetto di leggi, condizioni economiche, assistenziali, lavorative ecc… diverse ed adeguate a recuperare, almeno in certa misura, alle donne che lo volessero, di vivere ed esprimere compiutamente il proprio ruolo ed il valore che ha. E, se ci fossero queste garanzie, ripeto, non credo che sarebbero in poche.
E non mi basta l'obiezione che qualche giornalista o intellettuale di sinistra donna potrebbe farmi che per sé o per le proprie figlie guarderebbe con orrore ad un futuro del genere: benissimo, io non parlo di imporre niente a nessuno, né sto facendo un discorso che pretenda di aver valore rigidamente assoluto. E' ovvio che ci sono sempre, e numerosi, casi particolari, ognuno con le sue inclinazioni personali, e nessuno desidera proibire che se una donna vuol spontaneamente dedicare la propria vita a fare, per esempio, l'avvocato o il politico non lo debba fare (correndo in concorrenza con tutti però: non parlatemi di “quote rosa” in nessun campo per favore). Così come è altrettanto chiaro e probabile che, senza una base privilegiata, avendo come prospettiva un mestiere meno gratificante - magari come quello dell'altra donna che farà le pulizie in casa dell'avvocatessa o la commessa nel negozio dove va a fare shopping la intellettuale di sinistra - forse la voglia di dedicarsi ad un lavoro sarebbe meno forte. Che è poi il caso della maggioranza delle persone.
Ma perché si realizzasse tutto il necessario apparato strutturale per rendere possibile alle donne che lo volessero questa scelta 'neo-tradizionale', sarebbe necessaria a monte di ciò una opinione pubblica favorevole, tale che se una donna si dedicasse a questo ruolo riceverebbe un autentico apprezzamento sociale almeno non in misura inferiore a quanto potrebbe accadere ad una commerciante, una operaia o una professionista (o ad un uomo nelle sue occupazioni maschili), il che implicherebbe un profondo cambiamento di mentalità rispetto a quella attuale ed un sostanziale ribaltamento nella scala dei valori.
Se un tale cambiamento appare utopistico nelle condizioni presenti in cui, nella dimensione di vita cittadina e consumistica, una donna 'neo-tradizionale' non potrebbe essere altro che frustrata - oltre che povera ( a meno che la sua scelta non sia un lusso, vivendo già di rendita) - non è perché non funziona la mia analisi di come vanno le cose tra uomini e donne: è, ancora una volta al contrario, una ulteriore prova del fatto che l'attuale stile di vita cittadino metropolitano e consumistico è sbagliato alla radice e che genera problemi fondamentali che non possono trovare soluzione al suo interno.

Del resto, il fatto che nell'attuale sistema ci sia alla base qualche profondo errore, è manifesto nelle contraddizioni in cui si dibattono oggi regolarmente e in quasi tutti i casi i rapporti sessuo-affettivi-relazionali tra uomini e donne, che vogliamo chiamarli di coppia o meno, dall'incontro occasionale, alla compresenza di rapporti promiscui, alla storia di coppia, al matrimonio (legale o di fatto), alla gestione della separazione, senza dimenticare il come sia gli uomini che le donne si vivono la propria condizione di single con o senza relazioni, nella loro aspettativa e ricerca, nel metabolizzare la loro fine, nel tenersene lontani.
Quando ci si confronta con queste cose, per quanto riguarda noi stessi o anche osservando le situazioni altrui che conosciamo, sembra a volte di trovarsi davanti a problemi che paiono non avere una soluzione possibile, il che è spiazzante a fronte del fatto che, in fin dei conti, dovrebbe trattarsi di una delle cose più semplicemente basilari e necessarie della vita di noi tutti, maschi e femmine … o no?
Ovvero una cosa che se non proprio non dovrebbe essere un problema, almeno una soluzione ce la dovrebbe avere; una soluzione che dovrebbe potersi trovare su un piano abbastanza basilare, quanto basilare è il bisogno di rapporto sessuo-affettivo con l'altro sesso per ogni essere umano.
Sarebbe difficile credere che la soluzione di questo problema debba essere accessibile solo a persone che abbiano raggiunto un tale livello di evoluzione culturale che gliene dia gli strumenti necessari mentre a tutti gli altri non sia riservata altra condizione che una dominata da brutalità e ingiustizia, incomprensione ed insincerità.
Fuori da i romanticismi che ci prendono quando siamo innamorati, possiamo renderci tutti conto facilmente che, nel sistema economico e culturale in cui viviamo, la società attuale è già, e sempre più diventa, sostanzialmente una società di e per single.
Dal punto di vista strutturale, dei meccanismi produttivi e dei valori riconosciuti su cui di fatto si regge la società consumistica occidentale attuale, la coppia e la famiglia non hanno più ragione di essere: si rivelano sempre più delle forme residuali che tendiamo ancora a riprodurre per ciò che resta di modelli culturali a cui siamo abituati, ma che sono in realtà contraddetti dalla vita che viviamo e dagli obiettivi a cui puntiamo.
Di figli se ne fanno sempre meno e quelli che nascono sempre più spesso non arrivano al termine dell'adolescenza nella stessa forma-famiglia in cui sono nati: nel frattempo i genitori si sono separati, forse vivono con altri partner con i quali hanno forse anche altri figli, inoltre nella vita di un ragazzo di oggi la casa e la famiglia sono solo uno tra i tanti contesti/ambienti in cui vive e spesso un ambiente strumentale a realizzare i suoi obiettivi in altri; e del resto, anche per i suoi stessi genitori, la casa e l'ambito famigliare non sono il baricentro della propria esistenza: il tempo che gli possono realmente dedicare è molto limitato.
Inoltre, nella nostra cultura attuale, diamo importanza, sopra ogni altra cosa, alla nostra personale libertà e gratificazione individuale, e questo è socialmente considerato sacrosanto: la libertà individuale è diventata il metro di ogni etica. Ed i limiti che ci pone una continuativa relazione di coppia (non dico necessariamente a vita, ma anche solo continuativa, che prenda in modo centrale un qualche significativo periodo della nostra vita) - senza neanche parlare di una famiglia con figli - sono difficili da sopportare alla lunga (e spesso anche alla breve) se vogliamo perseguire quei desideri o quei risultati in campo professionale, come esistenziale, esperienziale o quant'altro, che reputiamo necessari ad una nostra realizzazione individuale. E siamo anche portati a perdere di autostima se non dovessimo conseguirli o se dovessimo rinunciarvi, peggio che mai se questo fosse a causa del dovere dedicare maggior cura al rapporto con un'altra persona.
D'altra parte questa è, entro certi limiti, una condizione necessaria per far vivere un rapporto e, tradizionalmente, quella di dar la precedenza alla cura del rapporto è sempre stata la parte della donna. Ma oggi una donna che facesse così si sentirebbe precipitata nella preistoria e troverebbe forse più accettabile e dignitoso, secondo le età, ammalarsi di anoressia per somigliare a qualche modello di modella o stressarsi fino alla frigidità e agli antidepressivi per rincorrere un successo nella carriera professionale piuttosto che cadere in un simile baratro.
A completare il quadro va detto che anche il sistema economico-produttivo in cui viviamo spinge decisamente in questa direzione pro-single: un single è certamente più apprezzato da una azienda in quanto ha meno impedimenti a dedicare il proprio tempo al lavoro ed è motivato a guadagnare di più e a far carriera per riempire la propria vita di quelle soddisfazioni, come anche di quelle sfide che non trae da una relazione. Inoltre il single spende di più per tutto dato che in questo caso ogni persona ha bisogno per sé di tutta una serie di cose necessarie - a partire dalla casa - che altrimenti potrebbero essere condivise…. e così i consumi aumentano e il mercato gira.

Tutto bene: non sono un sostenitore a tutti i costi della coppia fissa a vita e della famiglia, e se in Occidente facciamo un po' meno figli, il pianeta non può che guadagnarne se pensiamo a quanto pesa ecologicamente sull'ambiente globale ogni abitante dei paesi ricchi (se fossero i popoli del Terzo Mondo a fare meno figli invece, sarebbero proprio loro stessi direttamente a guadagnarne).
Tutto bene se non fosse che per questa strada non troviamo soddisfazione; se non fosse che, sebbene non abbiamo più un'idea chiara di come le vorremmo o di come dovrebbero essere, siamo comunque in cerca di relazioni. La ricerca, il bisogno di un rapporto significativo ed appagante, completo e completante, sessuale ed affettivo in cui ci sia scambio e comprensione con una persona dell'altro sesso, rimane come una fortissima esigenza, centrale, basilare.
Di più: se guardiamo con attenzione quasi tutto ciò che ci propone lo show pubblicitario - che come sappiamo è l'anima del commercio che, a sua volta, nell'economia di mercato, è quasi tutto - da cui veniamo incessantemente martellati, vediamo che, nei suoi messaggi espliciti o subliminali, fa leva su questo. E se guardiamo sinceramente dentro noi stessi anche gran parte degli sforzi che facciamo per avere ogni forma di successo e di affermazione nella nostra vita è molto legato al modo di sentirci in relazione agli altri, che a sua volta è legato a questa fondamentale ricerca sessuale-affettiva.
Abbiamo un irrinunciabile bisogno di unione con l'altro sesso e non solo in modo superficiale, meccanico, o come lo immaginiamo quando pretendiamo che possa essere qualcosa di soltanto “fisico”. Ma la nostra tendenza a puntare tutto sulla libertà/soddisfazione individuale (di cui fa parte pure una accezione superficiale dell'ottenimento della compagnia di un partner sessuale) è in contraddizione insolubile con la possibilità di soddisfazione di questo bisogno che nondimeno, e dolorosamente, permane. Vogliamo insieme cose opposte e inconciliabili.

La causa di ciò è il nostro modo errato di guardare a noi stessi: il guardarci solamente come degli individui, come Io.
Molto più e molto prima e molto oltre che Io, che individui, siamo degli organismi energetici, parte della Natura, e non lo siamo in un modo qualunque: lo siamo come maschi e come femmine. Questa non è una opinione a cui bisognerebbe scegliere di aderire convinti da sottili argomentazioni: non si tratta di scegliere, questa è la realtà, pura e semplice, una cosa autoevidente; semmai la scelta è di riconoscerla, capirla, capirne le implicazioni e come applicarne le conseguenze nella forma della propria specifica situazione e, in definitiva, di accettarla ed adeguarvisi.
Siamo organismi energetici, parte della Natura, nella forma/condizione umana, e l'energia che noi siamo funziona scomponendosi e ricomponendosi, quindi muovendosi, vivendo di processi dinamici (nulla è fermo nell'Universo) secondo polarità opposte e complementari che si attraggono e confliggono permettendo così di scorrere, cercando canali sempre più grandi e pieni, ai flussi vitali.
Le polarità secondo cui funzionano gli organismi viventi e la Natura in genere esistono in tante diverse coppie di opposti complementari (luce/buio, grande/piccolo, vita/morte, piacere/dolore, carica elettrica positiva/negativa ecc…). In realtà non si tratta di estremi a sé stanti che si rapportano reciprocamente come entità separate, almeno se guardiamo il loro rapporto da un punto di vista complessivo: si tratta sempre di cose che, se le osserviamo molto strettamente da vicino, sfumano le une nelle altre e non possiamo tracciare la linea netta di separazione fra i due opposti perché, viste come totalità dinamica, sono un tutt'uno.
Per noi esseri umani la coppia di opposti Maschile/Femminile riveste una importanza assolutamente centrale nella nostra esistenza, a tutti i livelli. Oltre che nel corpo siamo maschi o femmine nella nostra psiche, inclinazioni, modi di reagire alle situazioni, mentalità, attitudini pratiche ecc… Anche qui, non parlo di demarcazioni nette, rigide ed assolute: parlo di caratteristiche ricorrenti di fondo che possono essere facilmente in apparenza contraddette se si vuole disquisire sui casi particolari, ma che è manifesto a tutti nella propria esperienza che esistono e funzionano sostanzialmente in generale. Ed il fatto che le polarità sfumino l'una nell'altra non va letto nel senso che in ognuno di noi c'è una parte che possiamo chiamare maschile ed una femminile: questo discorso rileva qualcosa che ha del vero, ma che in realtà parte da una interpretazione sbagliata ed astratta della polarità: considera le categorie di maschile e femminile come una sorta di idee archetipiche aventi esistenza propria; non è così.
Non esiste il “Maschile” ed il “Femminile” al di fuori dei maschi e delle femmine in carne ed ossa. Quindi, quando questi maschili e femminili (uomini e donne) viventi si incontrano e si rapportano proprio su un piano di maschio/femmina (il che può di fondo essere presente sempre in modo più o meno sfumato, ma può essere molto secondario fino al trascurabile in una situazione per es. di lavoro mentre è centrale in un rapporto di coppia ed assoluto nel rapporto sessuale), le polarità che agiscono reciprocamente nel rapporto sono di fatto, e rispettivamente, null'altro che loro stessi. E il fatto che, visto da un punto di vista complessivo, i due poli sfumano l'uno nell'altro, è ciò che è in atto nel loro incontrarsi, che è un rapporto ovvero un certo fenomeno che ha una sua specifica realtà, la coppia (al di là poi di quanto questa duri e se si considera o meno tale), sia come condizione esperienziale interna vissuta dai due soggetti ( perché entrare o uscire in /da un rapporto di coppia è un po' come entrare/uscire rispetto ad un determinato mondo, una certa condizione di esistenza), ma sia anche come realtà fisica oggettiva dato che questo fenomeno può anche esprimersi in un altro essere umano, nato da questo rapporto.
Ma questa visione complessiva che vede i due come elementi di un unico fenomeno può appartenere coscientemente agli stessi due solo in parte essendo la loro esistenza individuale svolta anche in altri contesti che non siano questo rapporto.
La totale percezione di sé come polarità energetica in unione dinamica col partner avviene in modo veramente pieno solo momentaneamente, nell'intensità completa dell'atto sessuale (o in certi particolari momenti in cui lo scambio del sentimento di amore è totale, quasi estatico) .
In realtà, dunque, tra due esseri umani, il fatto che le polarità energetiche M/F sfumino l'una nell'altra avviene in quanto coppia, non in quanto individui, perché è al livello della coppia (ovvero in una dimensione reciproca) che esistono.




Dal momento che noi siamo in primo luogo organismi energetici, organismi in cui l'energia cosmica che noi siamo, che non ci appartiene, ma alla quale apparteniamo, si muove nella sua forma polarizzata Maschile/Femminile, e dal momento che noi siamo maschi o femmine per rapportarci in questo modo, penso che è il rapporto sessuale la situazione/base/modello/essenza da cui dobbiamo partire per capire cosa significa in effetti e quali ne siano le implicazioni nel nostro essere e per rapportarci in quanto maschi e femmine ricordando che è dalle cose più basilari che dobbiamo partire in quanto la Realtà non fa che esprimere sé stessa, le cose esprimono sé stesse e non si può veramente separare la mente dal corpo o ciò che è materiale da ciò che non lo è.
Dobbiamo riconoscere l'importanza centrale nelle nostre vite di questa questione del rapporto M/F per quella che è perché, se guardiamo in modo trasparente dentro noi stessi, non possiamo non ammettere che il sesso/amore influenza la nostra esistenza, ciò che facciamo e il modo in cui ci sentiamo forse più di ogni altra cosa. Non solo: questa realtà moltiplicata per tutti i componenti della società, declinata nei vari ruoli che in questa società essi svolgono, in tutti i vari aspetti sociali, economici, culturali ecc… di cui questa società vive, risulta essere uno dei più determinanti motori della Storia stessa da tutti punti di vista, anche se - e questo è ancora una volta legato ad un punto di vista unilateralmente maschile in senso astrattista della forma che ha preso la cultura occidentale moderna - ciò non è stato ancora sufficientemente riconosciuto.

Se lo sappiamo e lo vogliamo vedere, il fatto che la polarità M/F è intrinseca a ciò che noi siamo già ce lo dice il nostro stesso corpo in cui la realtà che noi siamo esprime sé stessa: già la stessa conformazione anatomica e i rispettivi ruoli sessuali dell'uomo e della donna sono sufficienti a descrivere tutto della loro essenza reciproca.

L'uomo è esterno e la donna è interna.

Il sesso maschile è un Uno, un elemento singolo e singolare che si pone come netto ed oggettivo, appare quasi come dotato di vita propria ( a causa dell'erezione), qualcosa a sé rispetto al resto del corpo, specialmente quando è eretto.
L'uomo tende all'astrazione ovvero a isolare concetti ben definiti e delimitati e poi leggere il mondo attraverso la sua ricomposizione attraverso le connessioni, spesso in ordine causale, propedeutico o gerarchico, tra gli elementi/concetti in cui è stato precedentemente diviso.
L'uso di questi concetti come strumenti di gestione-del/rapporto-con il mondo (sia esterno che interno a sé) è per l'uomo necessario per ritrovare un ordine nelle situazioni della vita e la forza, la chiarezza, la fiducia in sé stesso per affrontarle. Quando un uomo è in difficoltà o in confusione deve in primo luogo ricomporre un quadro delle cose che gli fornisca un'idea chiara con cui identificarsi (3) e all'occorrenza da brandire come un'arma efficace, chiara, dritta e netta, che dia un senso di affermazione nel mondo, in modo simile all'arma del suo corpo con la quale affronta e penetra sessualmente la donna.
Da sempre ( tranne le solite rare eccezioni dovute a situazioni specifiche) nella storia dell'umanità è stato l'uomo a fare il guerriero: attenzione, non a fare la guerra. La guerra è una realtà che, molte volte, sebbene non sempre e specialmente non così oggi, è stata un evento inevitabile legato a situazioni di conflitto dovute alle necessità dei gruppi umani, e in questi casi la 'faceva' la realtà, le condizioni oggettive - penso essenzialmente a fasi antiche della Storia e a condizioni di scarsità. In questi casi toccava agli uomini combattere, per sé e per le donne, le quali, se non combattevano, era perché c'erano gli uomini che lo facevano per loro ( non vengano a dire le femministe che le donne sono per natura estranee alla guerra perché sempre capaci di trovare un accordo). Il compito di guerrieri gli veniva dalla loro stessa conformazione fisica ed ormonale: non è un fatto culturale. Semmai l'abitudine ad essere in qualche modo legati alla guerra può a volte far tendere ad assumere atteggiamenti, anche mentali, bellicosi anche là dove non ne sarebbe il caso. Ma, se una attitudine all'approccio combattivo di confronto/scontro che può potenzialmente spingersi sul piano fisico, e la carica di orgoglio che a ciò si lega, son tutte cose che appartengono agli uomini, non è questa una cosa che di base ha una radice culturale: è bensì tutt'uno con l'essere uomini avere queste caratteristiche ( e che gli uomini le avessero è un fatto di cui hanno beneficiato anche le donne in tutta la Storia) - altro poi è l'uso pratico che se ne fa, che dovrebbe essere saggio e corrispondente alle reali necessità che pongono le situazioni e dovrebbe possibilmente beneficiare il maggior numero di esseri.
Insieme alla guerra, proprio dell'uomo è sempre stato il compito di modificare il mondo per aprirvi una strada, un luogo dove vivere e far vivere tutta la comunità (anche la donna quindi) che, a partire da questi due compiti fondamentali - il lavoro che “crea” il mondo e la guerra - si trovava a guidare.
Questo era inevitabile: nelle condizioni tecnologiche disponibili per l'umanità dalle sue origini fino a pochi decenni fa - ed anche oggi per una gran parte degli umani - non poteva essere altro che così: la conformazione fisico-ormonale del maschio (che non è separabile dalla sua esistenza in quanto tale, che a sua volta non è separabile da quella della femmina, nella specie umana e non solo) lo metteva nel ruolo di guida, di colui che apre e traccia la strada: è così, necessariamente, non si è trattato di una usurpazione.
In questo suo compito l'uomo ha approfondito il proprio rapporto col mondo attraverso strumenti, attrezzi da lavoro che servivano a dare la forma alle cose. Se anche le donne poi si occupavano della coltivazione degli ortaggi, erano però gli uomini a rendere la terra disponibile per la coltivazione, ad ararla…. a sverginarla. E' naturale che fosse così perché i lavori di questa fase iniziale che trasformava l'ambiente da 'selvaggio' a 'civilizzato' era anche quella che richiedeva maggior forza fisica, ma questo “è naturale” va compreso nella sua integralità perché la Natura è completezza e intelligenza, non equivale semplicemente a dire “guardacaso è andata così”. Nello specializzarsi in questi compiti l'uomo ha sviluppato rispetto alla donna una maggiore attitudine e forma mentale/caratteriale a porsi rispetto al mondo (ma anche all'altro, anche alla donna - che per l'uomo è l'altro più significativo) in termini di rapporto soggetto-oggetto, un approccio conoscitivo oggettivizzante, la necessità di dare un ordine al mondo per schemi lineari e coerenti che distinguessero tra le polarità dualistiche e non ne permettessero la confusione. Conseguenza di questo approccio è anche la separazione tra mente e corpo e così fra puro e impuro al nostro stesso interno e fra realtà materiale e metafisica e fra civile e selvaggio/incivile che diventa poi (tra gli stessi esseri umani e al loro interno) tra veramente, degnamente umano e non, con lo strascico di repressione delle proprie pulsioni all'interno e razzismo, violenza e libero sfogo a tendenze distruttive all'esterno, spesso anche dettate dallo squilibrio nel proprio atteggiamento verso il mondo.
Che tutte queste cose siano caratteristiche reali e/o potenziali del maschio umano potremmo pensare che sia dovuto a fattori culturali legati ad una specializzazione di ruolo di genere (così come potremmo dire lo stesso per le caratteristiche femminili di cui poi parleremo), ma questa è una visione superficialmente 'culturalizzante' che non regge davanti al fatto che questa pretesa 'specializzazione' doveva necessariamente toccare all'uomo nelle condizioni date della vita nella natura su questo pianeta e che è qualcosa di inscindibile dalla sua naturale conformazione anatomico-ormonale, che, come ho detto è altrettanto e inscindibilmente data in natura quanto l'esistenza stessa della donna in quanto tale.
Quindi, al di là delle forme particolari, queste sì culturali, in cui queste caratteristiche sono state espresse nelle varie culture e periodi del mondo, in esse c'è un nocciolo peculiare che è l'essenza stessa dell'essere umano maschio, e del suo stesso corpo, che è poi la forma esteriore fisica dell'energia che lui è.

Prima di andare oltre va precisata l'analogia tra il sesso maschile e l'arma o l'attrezzo che apre la strada nel mondo, perché ciò può dar luogo a grossi equivoci.
C'è un legame ed una qualche corrispondenza fra queste tre cose, ma parlando più precisamente del pene nel rapporto sessuale va detto che esso svolge la propria funzione (ovvero è propriamente ciò che è) all'interno di un gioco reciproco in cui è indispensabile la partecipazione della controparte femminile, ben diversamente dunque da un'arma. Infatti la durezza muscolare (l'erezione), la decisone, l'energia del pene possono essere in realtà qualcosa di potenzialmente anche molto delicato e vulnerabile dietro l'aspetto esteriore. A meno di un atteggiamento aggressivo unilaterale e di chiusura della sensibilità da parte dell'uomo, che però comporterebbe, sì, una erezione in ogni caso (come ad esempio nello stupro), ma a prezzo di una incapacità di abbandono alle sensazioni genuinamente orgastiche (#) - ma allora siamo già in una situazione patologica - l'erezione maschile avviene all'interno di un gioco dove c'è accoglienza ed invito (espliciti o meno) da parte della donna.
Il protagonismo del pene nel rapporto sessuale è permesso e sostenuto dalla vagina. In realtà è un unico fenomeno la penetrazione che coinvolge entrambi in ugual misura, ma dal punto di vista esteriore, di ciò che si vede, di ciò che è esterno, ovvero da un punto di vista maschile, il pene è l'elemento positivo, attivo, oggettivo, definito, visibile e dunque protagonista. Appartiene al mondo dell'occhio, mentre il sesso femminile è l'elemento negativo (ovviamente si parla di polarità, non di giudizi), passivo, oscuro, indefinibile chiaramente in quanto percepibile essenzialmente attraverso la sensazione tattile, appartiene al mondo della pelle, della carne, ma non in modo immediatamente ipostatizzabile in un chiaro oggetto concettuale: quando lo si fa se ne visualizza l'aspetto esterno, che non rende il cuore della sua realtà: questo cuore è interno ed appartiene al mondo della carne, del corpo che rimane corpo, vi si accede attraverso il tatto che è un mezzo di conoscenza per cui ci vuole la nostra presenza/partecipazione fisica.
Questo per una donna è un fatto scontato ma per un uomo spesso è strano anche solo pensare che il tatto sia una forma di conoscenza o che ci sia qualcosa di centrale nella nostra dimensione esistenziale che richieda la propria presenza e partecipazione fisica nel momento presente vissuto per essere conosciuta. Così come non è immediato pensare alla faccia oscura della Luna o alle radici dell'albero. Così come, una volta che il suo ruolo-protagonista gli riesce, all'uomo non viene spontaneo ricordare che ciò funziona all'interno di un fenomeno in cui c'è la parte femminile che, fosse pur, al limite, con la sua sola presenza, rende possibile il tutto.
Anche al di là dell'esempio (base/modello) del rapporto sessuale, il maschio rivendica di fondo, all'interno del rapporto, un ruolo esteriormente da protagonista: al momento di tirare conclusioni deve essere lui quello che traccia la linea da seguire. Questo fa parte della natura del maschio, del suo ruolo naturale: come abbiamo visto è sempre necessariamente stato così, tranne solo in questi pochi ultimi decenni e solo all'interno del nostro mondo ipertecnologizzato che non è che una bolla artificiale e pericolosa per il pianeta.
Il problema non è questa tendenza naturale dell'uomo: ognuno fa la sua parte a suo modo, parziale e necessaria, nella totalità della Natura.
Il problema è che, con una visione limitata ed unilaterale delle cose, l'uomo creda al proprio ruolo come esistente e funzionante in assoluto, mentre è reale solo in modo relativo: all'interno del rapporto con la donna. E' la presenza della donna nel suo ruolo meno esplicito, meno attivo, meno in vista, meno protagonista, meno aggressivo, meno verbale, meno pubblico ecc… che gli permette di svolgere il suo e permette che ciò avvenga senza degenerare in una modalità ceca ed unilaterale che lo manderebbe fuori misura e lo trasformerebbe in una forza distruttiva ed autodistruttiva.
Allo stesso modo, per tornare all'esempio modello/base, in uno spontaneo rapporto sessuo-amoroso, se una donna mettesse in questione, non per scherzo, ma seriamente, la propria accettazione o apprezzamento dell'uomo come maschio ( e questo può avvenire in vari modi, non tutti verbali, come ad esempio una eccessiva aggressività sessuale da parte di lei) potrebbe provocare nell'uomo un certo disagio e forse anche difficoltà nell'erezione.
Davanti a questo un uomo può reagire in due direzioni: una tendente all'incapacità di erezione ovvero la rinuncia al proprio ruolo di maschio, l'altra l'iperaggressività sessuale recuperando l'erezione con l'intenzione di punire la donna e dimostrare a sé stesso la propria virilità, ma questo a prezzo, come già dicevo, della sensibilità, salvando la potenza sessuale, ma perdendo la potenza orgastica (#).
Al di là del rapporto sessuale, se una donna non riconosce l'attitudine psico-energetica di base di un uomo e vuole affrontarlo frontalmente (all'interno del rapporto di coppia intendo) su un piano di scontro verbale esplicito di aggressività fa un grosso errore causato essenzialmente, io credo, dall'ignoranza di come sono fatti gli uomini e le donne.
Sebbene siamo in tempi 'civilizzati', l'uomo ha fondamentalmente l'attitudine del guerriero, e un orgoglio corrispondente: il terreno dello scontro diretto, aperto, esplicito, è il suo e sa come muovercisi e come dosare le sue mosse su questo piano calibrandole sui diversi gradi possibili dello scontro diretto, indiretto, potenziale, minacciato e su molti altri paralleli e collaterali che sono le varie forme in cui, con l'evolversi della civiltà, si riesce a risolvere i conflitti, dar spazio a vittorie e sconfitte senza perlopiù arrivare allo scontro fisico.
Ma questo è un codice, un linguaggio che un uomo sa e può “parlare” bene con gli altri uomini perché si basa su un elemento non detto di fondo che si impara da piccoli: ovvero il fatto che, sullo sfondo, la possibilità dello scontro fisico senza esclusione di colpi e con tutte le sue conseguenze è sempre presente.
Con una donna non è la stessa cosa perché si sa che allo scontro fisico non ci si può arrivare e se ci si arriva non ci si arriva ad armi pari come un atto di coraggio, bensì come una vigliaccata. Anche la donna ovviamente lo sa, e ne approfitta: usa parole ed aperta aggressività ponendosi così sul terreno dell'uomo, ma avendolo in una condizione che lo priva di un elemento centrale di questo terreno che è la (possibilità della) violenza, ed usa segnali ed espressioni e sfoghi emotivi con i quali sta sul proprio terreno e con i quali anche fa effetto sull'uomo inibendone l'aggressività, che dall'altro lato sfida su un piano falsato sul quale egli non può esprimersi.
Così un uomo rimane spiazzato come se dovesse parlare un linguaggio di cui gli hanno sottratto le lettere dell'alfabeto e le regole grammaticali: da un lato non può accettare di essere sconfitto da una donna sul proprio terreno e indebitamente in quanto non ad armi pari e in pari possibilità di usarle come sarebbe contro un altro maschio. Dall'altro né può esprimersi come maschio, facendo dell'aggressività un 'andar verso' d'incontro, se non c'è una femmina a 'riceverlo', né può diventare femmina a sua volta per farsi accettare - cosa che, comunque, per una tale via, non otterrebbe.
Ovviamente, e nel modo più assoluto, non sto dicendo che allora, per riequilibrare le cose, gli uomini avrebbero ragione di picchiare le donne.
Sto cercando di vedere cosa effettivamente sta succedendo oggi tra uomini e donne quelli che siamo e non quelli che potremmo illuderci di dover essere in base all'idea che queste cose possano cambiare davvero in profondità grazie ad un tentativo di autoconvincimento culturale.
Si tratta di cose basilari, profonde, non dipendenti dalle nostre scelte e, rispetto alle quali, migliaia di anni non credo siano poi gran che.
Sta di fatto che uomo e donna, maschio e femmina, così come nel rapporto fisicamente sessuale, vanno insieme in un rapporto al tempo stesso di attrazione e di conflitto, tanto che in ogni rapporto sessuale vissuto in modo forte e pieno, insieme al desiderio, l'amore e l'attrazione, c'è sempre una latente, sottile venatura di aggressività e violenza che ne sono parte integrante.
La crisi che c'è oggi tra uomini e donne nelle società moderne occidentali dipende dal fatto che, mentre al di là delle pretese culturali, gli uomini sono sempre gli uomini e le donne sono sempre le donne - anche se qualcuna se lo ricorda un po' tardi, per limiti di età - ogni uomo per esprimersi/mettersi al proprio posto come uomo in rapporto a una donna ha bisogno di una donna che si esprima/si metta al proprio posto come donna rispetto a lui, e viceversa(4).
Questo non avviene più ed in primo luogo da parte delle donne; dico in primo luogo perché credo che il fatto che oggi anche gli uomini non si sappiano più porre come uomini di fronte alle donne sia soprattutto una conseguenza dei cambiamenti avvenuti da parte di queste ultime.
Penso che l'origine di questi cambiamenti sia stata una volontà di rivalsa prima (con le origini storiche socioeconomiche di cui sopra) ed un senso, un po' isterico, di frustrazione poi, data questa, dal fatto di rendersi conto di non poter comunque fare a meno dell' 'avversario' dopo averlo distrutto.
E penso che ormai rimanga solo una gran confusione e smarrimento che più che dalla volontà egoistica di salvare i residui vantaggi ancora salvabili da parte di entrambi, dipenda da una profonda ignoranza, inconsapevolezza della realtà, del significato, delle implicazioni del proprio ruolo e identità sessuali oltre che l'accettazione di questi come parte di un quadro molto più ampio che ci unisce alla Natura. Credo inoltre che, a partire da questa ignoranza, ci sia un latente sospetto e sfiducia reciproci tra uomini e donne: in effetti in mancanza di una saggia visione completa di tutto il quadro ognuno potrebbe avere da perdere riportandosi verso una posizione più tradizionale del proprio ruolo se l'altro non facesse altrettanto.
Ci vorrebbero fiducia e coraggio, riconoscimento di come stanno le cose sotto l'apparenza, ma regna invece la confusione e non è un caso, di conseguenza, che proprio in questo periodo sia di così gran moda l'omosessualità/bisessualità. Superficialmente passa per essere una battaglia per i diritti civili di quella che finora era comunque una piccola minoranza, ma la questione in ballo mi pare sia di ben più ampia portata: si sta difendendo da parte di molti, e in primo luogo davanti a sé stessi, il principio secondo il quale vada benissimo, anziché rapportarsi con le proprie difficoltà nel relazionarsi con l'altro sesso, con la problematicità profonda - che coinvolge tutti gli aspetti della nostra vita, economia, cultura, modo di vivere, di essere e di concepirsi perfino - di tale relazione, sottrarsi al problema ed inventarsi una nuova identità che pretende di dirsi più ampia, ma che è invece solo più superficiale e serve ad allontanare la necessità di guardar più a fondo dentro sé stessi - dove troveremmo una naturale e inagirabile tensione verso l'altro sesso - per cercare un surrogato di compagnia, comprensione e divertimento con chi è più simile a noi e con cui ci aspettiamo di trovare le cose più facili. Senza capire che questa presunta facilità è sterile (e infatti lo è anche in senso biologico, ma certo non solo in quello).
Come già detto, intendo parlare più ampiamente dell'omosessualità altrove, ma qui vorrei solo dire che son convinto che non stia nella Natura la possibilità di trovare autentica soddisfazione in questo modo e che perciò questa via non possa essere alla lunga altro che un fuorviante palliativo mentre ciò che è quantomai necessario è ritrovare un modo di rapportarsi fra uomini e donne basato sulla vera realtà fondamentale della dimensione sessuale cioè la polarità energetica M/F.
Ma oggi, dal momento che nella Storia non si torna indietro, per questo è necessario un passaggio di autentica consapevolezza del proprio ruolo e di una visione diciamo 'olistica' del valore che esso ha. Questo richiede una conoscenza che va al di là delle parole, una conoscenza che appartiene per natura più alle donne, alle quali starebbe di fare il primo passo, data la posizione culturalmente di vantaggio in cui attualmente si trovano - poiché quella di fare il primo passo indietro è un'incombenza che tocca sempre a chi è in vantaggio. Ma anche una conoscenza che, se anche esse sapessero recuperare, dovrebbero poi anche riuscire in qualche modo a comunicare agli uomini, fargliene capire il valore fondamentale, almeno. Cosa, anche questa, che è soprattutto compito delle donne fare in quanto sono coloro alla cui portata è più vicina la capacità di ritrovare una tale consapevolezza, perché a loro è naturalmente più propria.

E qui mi occorre parlare della parte femminile. Mi ci arrischio per necessità di completezza e simmetria, ma non troppo convinto: non credo gran ché alla conoscenza per pura speculazione intellettuale ed ho una fiducia abbastanza limitata nelle possibilità per un uomo di capire le donne tramite i discorsi e l'osservazione. Così come penso che i preti non dovrebbero dare indicazioni riguardo questioni di vita sessuale o di coppia alla cui pratica diretta hanno rinunciato, così come non mi esprimo pressoché affatto rispetto alla grande questione dei figli e la loro educazione, almeno finché non mi dovesse capitare di averne io, penso che uno sforzo di comprensione intellettuale della realtà ha valore quando è accompagnato dalla pratica e dall'esperienza di ciò che si dice. Quindi, dal momento che sono un uomo, mi approccio con qualche riluttanza a questa sezione dedicata a descrivere come funziona, secondo me, la parte femminile del sistema M/F.
Come dirò poi meglio, credo che la dimensione della donna sia fondamentalmente al di là delle parole (in fondo anche quella dell'uomo ovviamente, ma credo meno in fondo per la donna). Soprattutto per un uomo: credo che i due in realtà si conoscano solo direttamente nel rapporto vissuto, e che comunque siano irriducibili e, in definitiva, in-conoscibili veramente del tutto reciprocamente - e probabilmente questo è necessario perché il gioco infinito di attrazione e conflitto possa funzionare e continuare a funzionare.
Sospetto che la donna riesca a capire l'uomo un pochino di più che viceversa, ma che in questi ultimi decenni, parlando troppo ed osservando con pazienza troppo poco, le siano sfuggiti alcuni, pochi ma essenziali, elementi. Ad ogni modo, e sperando eventualmente di ottenere in seguito risposte da lettrici che mi aiutino a capire meglio (il loro punto di vista e ciò che c'è di vero o meno nelle mie idee), passo alla parte femminile perché credo che qualsiasi speranza di un recupero della presente davvero confusa situazione tra i sessi nella nostra parte del mondo, passi inevitabilmente da una ripresa di coscienza/ridefinizione da parte delle donne del proprio ruolo in un senso che definirei neo-tradizionale e che va spiegato bene.

La donna è interna e l'uomo è esterno.

Il sesso femminile è un tutto, un infinito, ed è anche lo zero. Non ci sono parole lì dentro.
La donna non dà alle parole la stessa importanza che gli dà l'uomo, non nello stesso modo: per la donna è il tono di voce con cui le si dice ad essere l'aspetto più dotato di senso.
Infatti è probabilmente vero che la donna capisca l'uomo più che il contrario, ma non sempre capisce davvero altrettanto ciò che egli dice; perché non gli dà tanta importanza, ma il punto è che non capisce che per l'uomo è molto importante ciò che dice, al di là di come, e questo crea incomprensione.
La donna è più concreta, più pratica, forse più realista, ma soprattutto nell'immediato, nel contingente e sulle cose che trova necessarie, lo è molto meno laddove occorre una prospettiva a lunga scadenza e ad ampio raggio che richieda un certo livello di astrazione.
Per la donna è difficile e non naturale separare la verità di una cosa dall'esperienza vissuta che se ne ha e dalla componente emotiva che la accompagna: questo è un approccio conoscitivo che mantiene un fondamentale ancoraggio con la Realtà, ma che contiene anche il rischio di un forte limite.
Non è spontaneamente necessario per la donna di organizzare il mondo secondo un ordine in successione gerarchica o d'altro tipo: non ci sono scale, c'è piuttosto un paesaggio con montagne e valli, masse di senso, di importanza, più o meno grandi o dense di significato la cui misura non è data, di principio, dalla relazione logico-analitica in cui stanno con le altre ( dato che in questo caso il mondo non è stato così dettagliatamente diviso in parti e quindi non ha necessità di essere precisamente ricostruito) bensì dal 'peso' che portano nella rete di relazioni interpersonali e intersoggettive di cui si compone la propria esperienza vissuta.
Questo è, rispetto a quello maschile, un modo di conoscenza più 'distico' quindi potenzialmente più completo, ma anche che rischia di cadere in un grave vizio di fondo: quello di un approccio incentrato sul narcisismo.
Laddove per l'uomo il vizio di fondo è il pericolo di sclerotizzarsi nell'atteggiamento dell'orgoglio, legato all'aspetto di rigidità della sua erezione che è compresente a quello di coraggio/partecipazione alla vita del mondo aprendosi la propria strada dentro di esso, per la donna è il narcisismo l'aspetto sul quale la positività del proprio slancio vitale può implodere, l'elemento che può rendere difettosa e falsare la sua modalità di conoscenza del mondo.
Anatomicamente possiamo legare l'aspetto-narcisismo al clitoride, tentativo accennato e quasi velleitario di pene la cui funzione è solo quella di procurare piacere e dunque di stimolare l'eccitazione e la lubrificazione della vagina che permette e invita la penetrazione. Ma così come per l'uomo l'immagine del pene-Uno rischia di tendere a diventare l'attitudine a misurare tutto il mondo (interno ed esterno) in base a criteri ed elementi presunti oggettivi che fanno capo di fondo al senso di Io e all'attaccamento a questo concetto, nell'aspetto-narcisismo della donna a partire dalla visceralità delle sensazioni clitoridee e di scioglimento vaginale (5) può radicarsi un atteggiamento che tende a valutare e considerare, perfino a riconoscere esistenza e senso o meno alle cose e al mondo, solo in base alle sensazioni che ci provocano. Un atteggiamento che può arrivare fino al punto in cui ci si pone come se il mondo fosse lì solo per compiacerci ( o, viceversa, nel caso opposto, per danneggiarci), cadendo così in una sorta di soggettivismo infantile - eventualmente mascherato in forme adulte.
Legata alla funzione di eccitazione/lubrificazione vaginale/sensazione di scioglimento come necessari e propedeutici alla penetrazione, è anche l'importanza determinante che hanno per le donne l'ambiente, l'atmosfera, la presenza o meno di tutta una serie di condizioni collaterali nelle varie situazioni della vita, diciamo una sorta di sguardo o percezione circolare, diversa da quella lineare dell'uomo.
L'uomo tende ad andare diritto al punto (parlo in generale, non solo nel sesso): se siamo qui per far questo, facciamo questo, questo è ciò che conta.
Per la donna si tratta sempre di un insieme di cose: quella cosa di per sé non significa poi molto, alla donna interessa il come, non il cosa. Ci vuole un atteggiamento, un ambiente, tempi adatti. Una donna spontaneamente sente il bisogno di creare un ambiente accogliente nella casa o nel luogo in cui si trova e soffre se questa esigenza viene ignorata.
Una donna fa caso a particolari ( ad esempio nell'abbigliamento) che per l'uomo sono insignificanti, ma perché ne coglie l'importanza nella visione d'insieme che contribuiscono a creare, non per un'attenzione genuinamente analitica, laddove un uomo che mette a fuoco un singolo elemento dell'insieme lo considera proprio in sé stesso, mentre il suo sguardo d'insieme è più superficiale: sa la sensazione che ne trae, ma non sa così bene perché ( e non gli serve: deve essere pronto ad agire).
Quando in una coppia si litiga, per ritrovare poi una, quantomeno momentanea armonia, per una donna è determinante ritornare ad una forma di comunicazione che esprima affetto e disposizione alla comprensione, mentre l'uomo tende a considerare ciò di per sé come mera apparenza e a voler definire la questione ridandogli una forma nel merito, almeno 'ufficialmente' (cioè esplicitamente, nominalmente), quanto a ciò che è possibile definire, al di là di poi cosa sarà davvero (cosa che del resto non può in ogni caso essere assicurato né dalle parole né dagli atteggiamenti). Ma se l'uomo dà in questo caso importanza alle parole che definiscono il merito della questione più che al fatto che rimane poi tutto da vedere come andranno realmente le cose rispetto ad essa, è per inconsapevolezza dello stacco che sempre c'è tra realtà e parole, specie in tema di rapporti d'amore: in primo luogo a lui serve ripristinare un quadro che tiene il mondo in ordine definendo i rapporti tra gli oggetti che lo compongono. Al contrario, se alla donna basta il tono di queste parole è perché sa benissimo (forse anche solo inconsciamente) che in questi casi tra realtà e parole c'è una grande differenza. Sarà lei la prima ad agire indipendentemente da ciò che è stato detto, ma sa pure che questa differenza non impedisce di viversi e portare avanti il rapporto, sa che le cose di questo tipo si muovono su altri piani, che necessitano della compresenza e della comunicazione delle due persone e che rispetto a questa, nel momento vissuto, conta più il come che il cosa.
Sarebbe un grande passo avanti se, a questa istintiva percezione, la donna sapesse aggiungere abbastanza saggezza - che può trarre dall'esperienza - da capire che l'uomo può facilmente tornare ad una comunicazione caratterizzata da disposizione all'affetto ed alla comprensione ed anche che, all'atto pratico delle cose reali, può di fatto essere in realtà molto meno intransigente e disposto al compromesso di quanto senta di potersi permettere di apparire al momento dello scontro. Però, perché questo avvenga, la donna deve far mostra di rispettare, almeno entro certi limiti, l'orgoglio maschile del proprio partner e limitarsi ad usare altre 'armi' che gli vengono dal tipo di saggezza/sensibilità che le è propria ( che include la capacità di dar tempo al tempo e saper aspettare e cogliere il momento e il modo appropriato per ogni cosa) perché, come già detto, se invece si pone ad affrontare frontalmente l'uomo sul piano prettamente maschile dello scontro diretto, non ne otterrà altro che la chiusura progressiva degli spazi di comunicazione, irrigidimento ed il rancore che viene dall'aver dovuto subire un atteggiamento che stimola al combattimento, ma senza averlo potuto sfogare e doverlo poi far coesistere con sentimenti di segno opposto verso la stessa persona. O, nel caso di una risposta inversa, ed ancora peggiore, la donna finirà per trovarsi un uomo sottomesso che si pone rispetto alla 'sua' donna (ma in questo caso è meglio dire alla 'donna con cui si trova') come rispetto ad un maschio più forte, situazione che, dopo un effimero senso di vittoria, potere e rivalsa, lascerà alla donna solo una grande frustrazione ed il senso che le cose non vanno come dovrebbero senza neanche capire perché.

Ancora un'altra caratteristica femminile che si può vedere in relazione all'eccitazione/lubrificazione/predisporsi all'apertura e all'accoglimento della penetrazione ovvero del sesso maschile, è la maggior predisposizione delle donne ad andare un po' più in profondità nel rapporto rispetto agli uomini.
L'uomo rimane più in superficie, vuole entrare nella donna, ma vuole anche continuare a muovercisi dentro (una penetrazione immobile non dà quasi alcun piacere ad un uomo - alla lunga neanche ad una donna credo, ma a volte ad una donna piace anche solo sentirlo dentro che pulsa senza alcuna spinta) e ne vuole poi anche uscire. Normalmente un uomo sente inutile e noiosa, oltre un certo limite, la tendenza della donna a parlare delle rispettive sensazioni e delle varie dinamiche interne al rapporto, di sviscerare più di tanto queste cose. Dato che per l'uomo le parole sono importanti per ciò che significano, possono anche essere poche - come lo sono spesso tra uomini - ma per la donna conta di più la disposizione che esprimono e che va spesso riconfermata.
L'uomo inoltre, anche quando è innamorato e non pensa ad abbandonare la propria compagna, ha comunque la tendenza ad avere rapporti sessuali con altre donne: l'essere rivolto verso il mondo da parte del maschio, con la carica di aggressività e di bisogno di affermazione egoica che ciò comporta - e specialmente oggi che né la guerra, né la caccia, né il duro lavoro fisico assorbono gran parte di questa energia - significa anche essere rivolto alla conquista delle donne, non a caso si usa la parola “avventura” tanto per un'impresa nel mondo che metta alla prova la propria capacità e a cui si collega un senso di vitalità, quanto per una relazione occasionale con una donna.
Se una donna che sente il suo compagno come il 'suo' uomo, con cui è soddisfatta, rimane con lui e diventa disponibile ad altri uomini solo quando questa relazione va in crisi, l'uomo che vuole rimanere con la donna con cui sta, ritorna ogni volta da quella donna, ma non manca comunque di allontanarsi anche, ma non solo, per altre donne, perché una certa instabilità, un certo cercare, esplorare, girovagare, mettersi alla prova ed avventurarsi è tipico dell'uomo. Questo, intendo, quanto a ciò che di per sé spontaneamente farebbe, ciò che gli viene naturale, anche se poi spesso di fatto non lo fa perché teme le conseguenze che ne verrebbero nella possibile perdita della donna che già ha e di tutto ciò che con lei ha costruito. E' una (auto)repressione frequente e forse necessaria, ma per capire come funzionano le cose, va tenuto presente che è una repressione.
Non credo che sia altrettanto per la donna: mentre il maschio penetra, entra ed esce ed è in grado di penetrare e provare piacere anche eventualmente perfino senza la partecipazione consenziente della donna (sebbene in tal caso nel modo distorto dell'impotenza orgastica di cui sopra), la femmina viene penetrata: si apre ed accetta di subire la penetrazione e deve essere abbastanza rilassata per trarne piacere. Per questo deve avere una certa forma di fiducia. E' ovvio che questo non può avvenire indiscriminatamente con chiunque, e nemmeno più frequentemente di tanto. Per questo credo che, se nel caso dell'uomo siamo nel campo del nevrotico e dell'impotenza orgastica quando c'è il rapporto con una donna non consenziente, ma non di per sé nel caso della pluralità di partner, nel caso della donna già ci siamo quando c'è un tale livello di promiscuità (diverso certo da donna a donna, ma comunque non troppo ampio) da permettere il rapporto sessuale solo a prezzo di un “irrigidimento” o “anestetizzazione” della sensibilità psicosomatica tale da potersi aprire fisicamente anche se ciò non corrisponde al vissuto psicoenergetico.
Questo può essere il caso, ovviamente delle prostitute di professione, ma anche di donne giovani o meno che abbiano un'identificazione con un'immagine di sé come donne estremamente libere, o spontanee, o un autocompiacimento di dissolutezza, o un senso di rivalsa e vendetta verso qualche figura maschile (o anche femminile in concorrenza) ecc… ; tutti atteggiamenti psicologici comunque in qualche modo nevrotici, non primari (#), e che hanno al centro un nocciolo di narcisismo.
D'altra parte, se è più frequente il fatto che un uomo adulto si mantenga artificialmente fedele in una situazione di coppia insoddisfacente per un senso del dovere legato ad un concetto di 'giusto', tali regole esteriori avranno probabilmente meno presa su una donna che vede il proprio dovere legato semmai ai figli (qualcosa di vivente e concreto) e la fedeltà al marito/compagno qualcosa che viene da sé finché il rapporto è vivo, significativo e gratificante e che non ha più ragione di essere quando non corrisponde più alla propria esperienza diretta e reale… il che, se fosse accompagnato dalla dovuta pazienza, consapevolezza, correttezza e chiarezza nei comportamenti, mi pare sia una cosa sana.
Per la donna inoltre sono essenziali nella relazione tutta una serie di elementi di comunicazione e di atmosfera che fanno nella loro complessità il rapporto e che possono fare veramente la differenza sia sul piano sessuale che su tutti gli altri che si condividono nella coppia. La percezione delle cose da parte femminile è basata su una sensibilità a tutto tondo che guarda più alle sensazioni che le vengono dal compagno, ovvero dalla sua energia e personalità o, meglio, da quell'aspetto di queste che colpisce e fa presa su di lei secondo gli aspetti che le interessano. Una sensibilità che è, in principio, incentrata sul senso del tatto - e che da lì si estende a livelli immateriali. Una percezione incentrata sul soggettivo.
La percezione maschile è invece incentrata sull'oggettivo - ancora una volta, esterno.
Infatti, da parte maschile, l'attrazione verso la donna è data essenzialmente da ciò che la donna è, mentre quella femminile verso l'uomo dipende soprattutto da cosa ( o meglio come ) l'uomo fa.
Questo perché, nella dinamica energetica polarizzata fra i due, la posizione femminile è quella centralmente (anche qui, non in senso rigido, assoluto o esclusivo) del ruolo passivo e la maschile di quello attivo. La forza (o il potere) che la femmina esercita sul maschio funziona proprio in virtù di questa passività: è una forza di tipo 'gravitazionale', una forza centripeta, che attira per il solo fatto di esserci. Il maschio invece è l'elemento mobile, instabile, attivo, il pianeta che ruota intorno alla femmina e che deve dimostrare la propria energia manifestandola nel suo movimento laddove quella della femmina traspare, nella sua specifica tonalità, in modo spontaneo e che sta al maschio cercare di raggiungere e di tenere(6). Ma è forse ancor più il maschio che è tenuto - dalla Femmina in genere se non da una in particolare - nel suo tentativo di tenerla.
Credo sia questo il senso basilare della “dominanza del debole” di cui parla spesso l'I-Ching, il libro cinese dei Mutamenti.
L'uomo cerca sempre di garantirsi questa possibilità di movimento che lo fa sentire dotato del tipo di energia che gli serve per affrontare la vita e, nello stesso modo, la donna - ed è un frequentissimo e forse il principale errore delle donne verso gli uomini quello di non rendersene conto ed agire in modo da limitarlo.
D'altra parte, se questa spinta al movimento viene avvertita superficialmente dal soggetto stesso come animata dall'anelito ad una libertà incondizionata - a causa del fatto che non conosce fine finché si è vivi - si tratta in realtà di un'orbita che ruota sempre intorno ad un centro energetico - che probabilmente non tanto spesso si identifica con una determinata femmina in particolare, ma - che è la Femmina a possedere e che tiene in fin dei conti naturalmente 'prigioniero' il pur incessante movimento del maschio all'interno della sua orbita.
Anche per questo motivo c'è bisogno di ruoli nei rapporti tra i sessi che diano una certa collocazione reciproca abbastanza definita nei comportamenti: se la donna diventa troppo liberamente mobile il centro gravitazionale del maschio diventa sfuggente ed il suo movimento disordinato; se il suo movimento è disordinato e non ha più l'equilibrio di un'orbita diventa più simile a quello di una scheggia impazzita che corre dietro a qualsiasi immagine gli ricordi il suo centro gravitazionale, vedendone ovunque possa trovarci una somiglianza. A questo punto il movimento non è più del tipo che ricarica la propria energia ad ogni giro traendola dalla fonte della propria spinta, ma è diventato solo l'espressione della paura di fermarsi perché non ci sarebbe nulla a sorreggerlo evitandogli di precipitare nel vuoto. A questo punto, d'altra parte, il centro gravitazionale, attorno al quale non orbita più nulla, ma solo passano fugaci meteore, non è neanche più consapevole del proprio peculiare tipo di energia e, siccome quella che vede funzionare è solo quella che gli sfreccia intorno, si mette in movimento anch'esso cercando di imitarla.
E' veramente uno squilibrio ed un disordine cosmico (anche al di fuori della metafora).
Del resto, già il fatto di per sé che il centro gravitazionale - dimentico di sé stesso - prenda a modello un diverso tipo di energia attraverso il fatto di vederselo muovere intorno è sintomatico: se si fosse trattato ancora di orbite le avrebbe potute sentire, essendone il centro, anche ad occhi chiusi, quasi avvertendole attraverso una forma sottile di percezione tattile.
Dato che il tatto è, appunto, il senso centrale per il Femminile.

E' tipico del Maschile, invece, il senso della vista.
Ad esempio, infatti, cercando eccitazione sessuale attraverso mezzi pornografici, all'uomo le immagini esplicite su foto o video faranno un sicuro effetto, mentre la donna sarà più probabilmente stimolata dalla lettura di un racconto erotico, ed anche lì ci vorrà la situazione adatta.

La consapevolezza di questa differenza di approccio percettivo è del resto ciò che sta dietro alla disinvoltura nell'uso strumentale che le donne fanno del mostrare il proprio corpo a fini di attrazione ovvero in definitiva di potere nei confronti degli uomini. In un ambiente sociale in cui sia assicurata la garanzia che questo mostrare non porterà senza consenso al contatto fisico (quindi all'entrare nel campo del senso del tatto che è quello più propriamente sessuale per la donna anche perché, essendo fisicamente più debole deve già avere fiducia e sentirsi disponibile per lasciarsi manipolare), giocare sugli effetti visivi della propria presenza è qualcosa che può essere amministrato con lucida strategia.
Conoscendo il fortissimo effetto che il vedere richiami sessuali fa sui maschi (e non solo in termini di eccitazione, ma anche del mettere in questione il provare a sé stessi il proprio valore), ed essendo ben consapevole di quanto la ricerca sessuale sia sempre, sebbene a volte sotterraneamente, una delle più potenti forze in campo in tutti i momenti della vita ed anche in contesti che 'ufficialmente' o sul piano esplicito, nulla vi hanno a che fare, una donna (proporzionalmente alle sue possibilità estetiche) può efficacemente sfruttare tale consapevolezza con finalità di potere. Non il potere de-gli uomini (che funziona secondo altre modalità e viaggia su 'territori' esterni, come avviene per ciò che è maschile), ma un potere su-gli uomini ed eventualmente attraverso-gli uomini (un potere dall'interno, secondo la modalità femminile, assolutamente capillare, sul piano orizzontale, ed un 'potere sul potere' su quello verticale).
L'idea delle ultime femministe rimaste (ultime perché le stesse donne sentono ormai superati i presupposti delle loro battaglie) secondo cui la onnipresenza del richiamo sessuale del corpo femminile su tutti i mezzi di comunicazione nella nostra società e la sempre più spinta mostra del proprio da parte delle giovani nei paesi occidentali sia un segno dello sfruttamento della 'carne' delle donne da parte di una sorta di potere mediatico maschilista è oggi così superficiale e miope da meritare con difficoltà il beneficio della buona fede.
Nella certezza assoluta (e sacrosanta, per carità) di non poter essere toccate (almeno nel senso che sono protette dalla legge) le ragazze oggi possono andare in giro tenendo gli uomini in uno stato di provocazione continua all'interno di un ambiente culturale in cui sarebbe autoescludente esprimere apertamente gli effetti di questa provocazione(7). All'uomo si richiede di considerare una donna come persona/mente mentre questa gli sta davanti presentandosi come oggetto/corpo, facendo leva sul potere diretto, immediato, che da questo le deriva e pretendendo di poterlo usare per trarne un riconoscimento anche su piani del tutto diversi. E' un po' come se con una buona carta da giocare - e con un trucco perché si gioca contemporaneamente con due regole di gioco diverse - si volesse ottenere tutto il mazzo pretendendo per giunta di ricevere i complimenti come bravo giocatore.
Mi pare che sia un po' troppo.
Non è un caso se proprio nelle società musulmane dove il potere è veramente in mano agli uomini le donne debbano andare in giro più coperte che mai e l'esposizione pubblica del corpo femminile è riservata esclusivamente ad ambiti molto particolari dedicati espressamente al piacere degli uomini come i locali dove si pratica la danza del ventre o luoghi simili. Se questa ostentazione della carne femminile e della sua attrattiva sessuale fosse un'imposizione ed uno sfruttamento maschilista e non, al contrario, una leva di potere femminile (tale, fra le altre cose, da mettere gli uomini in competizione fra loro con tutte le conseguenze che questo comporta) non sarebbe proprio lì che dovremmo ritrovarla di più?
Ciò vale anche da noi: quando questo era un fenomeno ancora limitato a certi ambiti nettamente caratterizzati come 'per soli uomini' il discorso delle femministe era vero, ma oggi che è un fatto generalizzato, continuamente presente, tale da esser diventato fonte di lavoro e di successo per tante ragazze che liberamente lo prendono perfino come carriera preferibile a molte professioni (pur anch'esse alla loro portata), siamo davanti ad uno degli aspetti del Sistema consumistico in cui più che mai trova piena espressione e trionfo di potere il narcisismo femminile. Che in questa versione giunge ormai a costituire una sorta di mondo a parte che si ripiega su sé stesso nel momento in cui il modello ideale di bellezza delle top model finisce per passare da leva di potere nei confronti degli uomini - e successo personale attraverso questo - a punto di fuga nella prospettiva di una competizione egoica tutta intrafemminile fino ad assumere i tratti omosessuali di una sorta di 'solipsismo di genere' del femminile più femminile del femminile dal quale gli uomini non possono che essere esclusi e perfino indotti all'emulazione a loro volta deviando anch'essi su tendenze omosessuali.

La “libertà” e l' “emancipazione” dei sessi ognuno per sé porta finalmente alla negazione dei sessi e con ciò alla negazione di noi stessi come esseri naturali.
Il problema è che la nostra realtà di fondo, che è la Natura, non ce la siamo e non ce la possiamo inventare noi come ci pare, così come non lo possiamo riguardo alle forme della nostra autentica realizzazione/soddisfazione.
Come esseri umani che vivono nella Natura/Realtà (e non c'è in realtà altro spazio dove vivere) le forme della nostra realizzazione/soddisfazione nell'ambito della vita energetico-relazionale sessuo-affettiva sono il Maschile ed il Femminile (come dimensioni reciproche e complementari) e la nostra libertà è poterci andare sempre più a fondo, non illuderci o immaginarci di saltarne fuori.


NOTE:
(1) Ricordiamo a questo punto che il modo in cui funziona la Natura non avviene secondo leggi rigide, precisamente misurabili, bensì per linee di massima che consentono ed anzi implicano continuamente parziali varianti, ma che, se viste con uno sguardo d'insieme, sono nondimeno molto precise quanto a ripresentarsi funzionalmente uguali in mille forme e contesti diversi e quanto a mostrare chiaramente nella stessa esperienza dei soggetti le conseguenze della loro applicazione o viceversa della di loro trasgressione/inconsapevolezza.
(2) In effetti, bisogna dire che la cosiddetta emancipazione delle donne ovvero l'attuale condizione delle donne occidentali moderne (sebbene possa essere stata il frutto di un passaggio necessario) è in realtà uno degli elementi più pesanti contro una trasformazione in senso ecofondamentalista ovvero in un qualunque senso autenticamente ecocompatibile della società. Se per un modello sostenibile è necessario che la generalità delle persone lavorino fondamentalmente in una agricoltura diffusa e su piccola scala, il che è inevitabile se si vuole un'economia che non si regga sul consumismo, la conseguenza è che i ruoli dell'uomo e della donna non potrebbero più essere interscambiabili come ora e di conseguenza che la donna dovrebbe recuperare sostanzialmente il proprio ruolo tradizionale, nella società e rispetto all'uomo. Certo, il punto sarebbe che questo ruolo dovrebbe godere di una considerazione socioculturale molto elevata, in nessun modo inferiore a quello maschile, per la sua importanza fondamentale nella vita umana da qualsiasi punto di vista, e questo (e non quello attuale) sarebbe un autentico equilibrio di dignità e potere tra la dimensione maschile e quella femminile. Ma ciononostante si può star certi che la trasformazione verso un tale modello sostenibile troverebbe una durissima resistenza da parte di moltissime tra le donne occidentali moderne attuali che mostrerebbe quanto, seppure spesso inconsapevolmente, la loro condizione sia, nella sostanza delle cose, un pesante ostacolo - ed, alle strette, perfino strutturalmente nemica - di una trasformazione ecocompatibile del modello socio-economico. Questo, in fondo, non fa che confermare che esiste un ordine 'cosmico' M/F secondo il quale ciò che è esterno/politico/di potere/di gestione/di indirizzo ecc… fa parte del mondo del Maschile (e non del Femminile) dato che, infatti, l'unica situazione nella Storia in cui queste cose sono in modo generalizzato appannaggio altrettanto (o potenzialmente altrettanto) delle donne come degli uomini è appunto la stessa situazione in cui tutti gli equilibri naturali stanno rischiando di saltare con le conseguenze disastrose che sappiamo di avere davanti.
(3) Per un uomo il fatto che un'idea sia 'giusta' è un argomento principe, in grado di passare sopra a qualsiasi altra considerazione - al di là di quanto questa 'giustezza' sia stata attentamente valutata.
(4) Oggi la donna occidentale moderna invece usa contrapporre sistematicamente (anche scherzosamente, anche no) ma comunque polemicamente il proprio punto di vista di sensibilità femminile, rispetto al mondo e a qualsiasi cosa, davanti a quello maschile nel rapportarsi con un uomo. Il punto di vista femminile come intuitivo, che coinvolge il corpo, i sentimenti, più aperto, circolare, altro da quello maschile che vive nell'intelletto, nelle parole, definizioni, logico, lineare, esplicito, competitivo ecc…Al contrario di ciò che vorrebbe significare, questo atteggiamento della donna occidentale moderna è proprio di una donna che ha perso le caratteristiche e la conoscenza tipicamente femminile che ostenta a parole in quanto porsi dialetticamente ed esplicitamente su questo piano di competizione in cui, discutendo, si contrappone il proprio punto di vista/sensibilità a quello 'opposto' con intenti di fatto competitivi è in realtà un comportamento maschile laddove il confronto con l'uomo secondo una modalità autenticamente femminile non userebbe le parole (o quasi), non si metterebbe su un piano esplicito di competizione e nemmeno di confronto, ma saprebbe far trasparire il peculiare valore della propria conoscenza in modo sottile e silenzioso ma stringente, non ignorabile.
(5) E' forse necessario chiarire che non voglio dire che ragioniamo con i genitali o che come funzioniamo mentalmente dipende da essi: non c'è causa-effetto: c'è integralità, siamo un tutt'uno e la forma delle cose esprime la loro natura/essenza. Visto che parliamo del rapporto tra i sessi è naturale leggere le cose a partire dagli organi genitali e dalla forma del rapporto sessuale.
(6) A prova di ciò va il fatto che, sebbene non tutte le donne - specialmente giovani - se ne rendano conto, una donna non deve fare sostanzialmente nulla per attrarre un uomo, tranne, appunto, l'essere attraente. Mentre invece un uomo è sempre lì a inventare, mostrare, raccontare, in una parola 'darsi da fare' per interessare in qualche modo una donna. E del resto, anche oggi che la confusione tra le polarità energetiche è imperante e che, di conseguenza, condizionati da i massmedia, anche molti maschi, specialmente giovani, puntano tutta la loro attrattiva sulla prestanza fisica, molte donne dicono di non essere poi attratte più di tanto da questo aspetto di per sé, se non si accompagna ad - almeno l'impressione di - un certo spessore personale/caratteriale (che certo non si mostra attraverso l'immagine ma con il comportamento cioè l'agire).
In più si può aggiungere che in genere se un uomo mostra di non essere interessato ad una donna al di lei eventuale primo invito, è molto improbabile che questo potrà cambiare in seguito perché ciò che di una donna in prima istanza (altro è poi a rapporto avviato) attrae un uomo si vede subito: o c'è o non c'è. Mentre invece il fatto che, di primo acchitto, una donna dica di no ad un uomo, di per sé non dice che il no sia davvero no: può darsi, ma altrettanto può essere un modo per vedere il di lui successivo comportamento e comunque attraverso questo ci sono sempre modi di mostrare aspetti della propria personalità che possono interessarla e cambiare la sua percezione.
Molte donne considerano queste come prove di una maggiore profondità femminile. In qualche misura può esserci a volte del vero, ma non si dovrebbe neanche ignorare che spesso la mostra dei tratti della personalità che possono far presa può esser qualcosa di altrettanto superficiale e apparente di un bel corpo - che perlomeno, se c'è, è reale. Ma farei una considerazione più generale.
Credo che la realtà e l'energia siano vaste come l'oceano in tutte le direzioni e che spesso i giudizi di valore che noi tendiamo a dare su cose che sono intrinseche della realtà sono piuttosto limitati e ce ne fanno vedere solo aspetti parziali in quanto più che a vedere come è siamo impegnati a cercare come dovrebbe essere. Troverei più saggio prima osservare le realtà accettandole come dati di fatto e cercare di vederle nel loro (nostro) quadro di insieme, se per caso non abbiano da sé un profondo ordine funzionale interno.
(7) E non mi riferisco solo ad esprimerli in modo 'aggressivo': all'uomo è anche implicitamente richiesto di mostrare di trovare del tutto normale qualsiasi cosa si mostri per non apparire di mentalità ristretta o troppo affamato sessualmente il che ne diminuirebbe il 'prestigio sessuale'. Inoltre, non credo ce ne debba essere alcun bisogno, ma, a scanso equivoci, voglio sottolineare che non sto affatto dicendo che l'andare in giro in qualsiasi modo da parte di una ragazza giustifichi in nessun senso atti di violenza nei suoi confronti da parte di nessuno. Voglio però richiamare l'attenzione su quale sia effettivamente il significato e l'effetto di questo comportamento, quanta onestà e correttezza o meno vi sia dietro, quanto sia qualcosa che favorisca o viceversa ostacoli l'apprezzamento di una donna in quanto persona da parte di un uomo e mi chiedo se non sarebbe meglio, senza rinunciare ad una equilibrata cura dell'estetica e dell'attrattiva, recuperare un senso della misura in questo campo che tornerebbe in fondo a vantaggio di tutti. Tra il burqa e ciò che è diventato consueto (ma non credo in realtà così metabolizzato, almeno da parte degli uomini - ma forse anche delle donne, dati gli standard ai quali sentono di dover corrispondere) ormai da noi ci corrono molti e molti livelli intermedi e, del resto, non mi pare che una certa morigeratezza in pubblico abbia impedito ad altri popoli del mondo di avere le loro ricche, godibili e fantasiose tradizioni erotiche in privato - che poi dovrebbe essere l'ambito appropriato per queste cose.




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