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L'INTEGRAZIONE CON LA NATURA E' L'ILLUMINAZIONE

In sintesi…
Il funzionamento stesso della nostra mente pensante, che è quello del linguaggio, ci porta a ragionare in termini di una qualche entità assoluta come punto di fuga di una visione olistica; in termini di qualcosa di perfetto all'esterno, come “Tutto” ed all'interno come “Illuminazione”.
Ma nella realtà concreta, vivente, ci sono solo le forme, i momenti: l'entità totale che tutti li comprende e li trascende, non c'è. L'Illuminazione non è che la Pratica ed anche la “Natura”, se la si intende come un'entità totale, non esiste. E', in realtà, il momento presente, e non la “manifestazione” di un noumenico momento presente altro da essa. Ma il momento presente che proprio essa stessa è.
La Realtà, veramente, non è qualcosa che possa essere pensato o definito, ma neppure una cosa destinata a rimanerci per sempre estranea dal momento che crediamo di essere “animali culturali” la cui propria dimensione sarebbe il linguaggio. Il fatto è che la Realtà non “è” ma avviene e non la si può altro che vivere. Non la si distingue in termini di esistenza/non-esistenza bensì di modalità e quindi di esperienza. Le cose viventi possono funzionare in modo più o meno integrato, ordinato, armonico e quando funzionano veramente in questo modo l'esperienza manifesta una qualità assoluta, totale. Ma non si tratta di “qualcosa” bensì proprio di una qualità, di un avvenimento come il terzo suono che proviene dalla perfetta accordatura di due strumenti. Non c'è infatti una teorica “qualità” che si manifesta “attraverso” gli strumenti, ma solo gli strumenti che agiscono tra loro in modo così integrato da esprimere la natura della vita che in realtà sono.
Trattandosi di qualcosa che attiene al vissuto dell'esperienza ne sono parte integrante i risvolti pratici che stanno lì a realizzarla. Anche perché, essendo questa Integrazione/Illuminazione non altro che una condizione di ciò che comunque già siamo, non sta scritto da nessuna parte che la dovremo raggiungere: se pensiamo in termini astratti, generali, non c'è nulla da raggiungere e per l'Universo è del tutto irrilevante come e perfino se noi viviamo. Per cui faremmo meglio a dare la massima importanza a come viviamo nei fatti e capire che il nostro intelletto è solo un utile strumento, quello specifico della nostra specie, da usare, ma senza lasciarci fuorviare da i suoi meccanismi che rischiano a volte, come in questo periodo storico di farci prendere grossi abbagli e di renderci ciechi di fronte alla realtà.

(versione PDF)

La Realtà è il Vivere (lo svolgersi, il divenire) incessante della Vita, ma non è nulla che possa essere definito in sé o trovato in quanto tale.
E' un Tutto che vive, ma, strettamente parlando in termini di qualcosa che è qualcosa e che possa essere trovata, non esiste.
Inoltre, pur essendo un Tutto unico ed interrelato dove nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma ed in cui di nessun elemento si possono tracciare confini netti e permanenti che lo separino o distinguano da tutto il resto, è un tutto che vive come parti, come esistenze individuali. Forme, temporanee ed interrelate, ma le uniche che esistano: solo le forme “esistono” e solo con queste ci possiamo rapportare. Non possiamo trovare il “Tutto”.
Il Tutto vive come forme, tutte transeunti, tutte interrelate, non si dà come Tutto: il Tutto come Tutto è una nostra idea nel momento che concettualizziamo la nostra percezione di essere parte di un Tutto, ma in nessun momento il Tutto si dà come Tutto: vive solo nelle forme.
Nondimeno, nessuna forma rimane più a lungo del suo tempo limitato, e nessuna forma, nessuna esistenza individuale esiste in sé stessa, del tutto indipendente da tutte le altre presenti e passate. Per cui, se vogliamo trovare cos'è veramente una qualsiasi cosa, andando a fondo a fondo della sua sostanza, della sua realtà, non troviamo nulla, ovvero troviamo quel “nulla” che troveremmo al fondo di ogni altra esistenza individuale. Dato che questo “nulla” è la realtà ultima comune a tutte le cose, lo possiamo chiamare Tutto: lo mettiamo in positivo, dato che il mondo comunque esiste, noi stessi in qualche modo esistiamo.
Ma questo “Tutto” (o qualsiasi corrispondente idea di Realtà Ultima) è un concetto: il tentativo mistico di trovarlo in modo definitivo e permanente, potremmo dire in modo “oggettivo”, fallisce (del resto, anche se lo si trovasse, in modo oggettivo, cioè come un oggetto, come un'entità conoscibile da un soggetto, non potrebbe trattarsi che di un ottenimento temporaneo, dato che tutti gli “oggetti” sono impermanenti).
Nulla veramente di Ultimo, di permanente, di definitivo, di sostanziale si può trovare, perché non c'è in quanto tale: l'unità fondamentale di tutte le cose sono veramente tutte le cose nel loro reale vivere tutte insieme con le loro forme distinte e parziali. Non c'è altro, e siccome anche noi lo siamo, non possiamo vedere o trovare questo Tutto più di quanto il nostro occhio non possa vedere sé stesso.
Quando il soggetto conoscente e l'oggetto conosciuto perfettamente coincidono nel tempo e nello spazio, non c'è conoscenza : c'è solo vita.
Il soggetto/oggetto (noi stessi) non può vedere o conoscere veramente sé stesso (così come pure, del resto, la vera sostanza di qualsiasi altra cosa): può solo vivere, e nel momento in cui si vive, che lo si faccia come soggetto o come oggetto è solo una questione di punti di vista, di un discorso che si fa ex post, dall'esterno del momento vissuto.

Così come non si può trovare il “Tutto”, non si può trovare la Perfezione.
Il cerchio non si chiude mai completamente, un mondo senza sofferenza, senza morte, senza conflitto, senza imperfezione per l'esistenza individuale non ci può essere e non ci sarà mai.
Anche questo perché la Perfezione, la Pace definitiva sono nostri concetti, forse nostre necessità logiche o mentali: nel momento in cui noi pensiamo al Tutto definitivo, questo Tutto deve anche essere perfetto, su questo piano ci devono essere l'ordine e la pace completi.
Ma sono sempre nostre illusioni: la nostra idea del Tutto nasce dal nostro riconoscerci parte di un tutto, insieme a tutte le altre cose, ma questo tutto non è altro che il vivere reale nel farsi del tempo di tutte le esistenze interrelate.
Dal punto di vista individuale oggettivo prendendo ogni elemento in modo isolato, non ci può essere perfezione per il fatto stesso che ogni parte è una parte: ha i suoi limiti.
Dal punto di vista della totalità di tutte le cose, questa è già perfezione per nessun altro motivo che è tutto ciò che esiste e quindi tutto ciò che è possibile e se una cosa non è possibile poco importa che sia perfetta.
Ora, non si tratta di stabilire se la Realtà è perfetta o meno pensando a come avrebbe potuto essere diversamente magari mettendosi dal punto di vista di un eventuale dio creatore: queste sono speculazioni che facciamo noi dal punto di vista di esistenze individuali. Ma la prospettiva reale è che siccome il Mondo vive di un gioco interrelato e mutevole di tantissimi diversi elementi parziali e limitati, l'imperfezione, la sofferenza e la morte del singolo ed il conflitto tra i singoli/gruppi di singoli sono modalità necessarie della vita. E non perché il Mondo doveva vivere di questo gioco (come se - ad opera di qualcuno o in qualche tempo - avesse anche potuto essere impostato diversamente, ovvero ci fosse stata una scelta od uno scopo per cui è così), ma semplicemente perché è così ed è il Mondo (l'unico) che c'è.
E la realtà del suo vivere è una perfezione superiore alla qualità del nostro pensare; non fosse altro perché noi (ed il nostro pensare) siamo solo una delle parti di questo Mondo. Quindi il Mondo è perfetto, ma come totalità vivente, non dal punto di vista di una entità parziale che vede sé stessa solo come individuale e separata e vorrebbe vedere la propria immagine di sé sopravvivere a sé stessa.
Voglio precisare che qui come Mondo intendo la Natura ovvero quelle caratteristiche dell'esistenza a cui in modo più e meno evidente tutti gli esseri devono sottostare e che, se violate, provocano, presto o tardi, conseguenze distruttive.
Non è semplice capire fino a quali territori della vita, specialmente umana, arrivi l'immutabilità (1)
di queste caratteristiche. Tale attenta comprensione fa parte della saggezza che deve accompagnare il percorso delle specie degli esseri individuali (e segnatamente di quella umana, di gran lunga la più avanzata in questo senso) nella loro ricerca di dotarsi di strumenti tecnici e culturali utili a rendere più agevole la loro condizione nel mondo.
A questo livello la loro esistenza si svolge in una dimensione che è tutt'altro che immutabile (come invece poteva sembrare nel discorso precedente) e che anzi definirei la dimensione del Possibile cioè che si trova a metà strada tra ciò che è reale e ciò che può essere immaginato. L'immaginazione umana, attraverso l'arte, la cultura, la speculazione intellettuale, la ricerca tecnica e scientifica inventa nuovi “strumenti” (in senso molto ampio) per la propria vita nel mondo: queste facoltà umane hanno una potenzialità vastissima, virtualmente senza limiti, vivono nella dimensione dell'immaginabile. Ma la vera dimensione umana è quella del Possibile in cui, tra le tante possibilità teoriche, vanno trovate quelle realmente possibili ovvero quelle che stanno all'interno dei limiti diciamo (1) “immutabili” della Natura cioè dell'insieme molto più vasto di cui l'essere umano fa parte. Il che significa pure quelle nel lungo periodo compatibili con la propria esistenza all'interno di questo insieme.

Così come non esiste la Perfezione, non esiste l'Illuminazione.
La Pratica (meditazione) non porta a qualcosa che possa esser detto “Illuminazione”. La Pratica, come io la concepisco, non è una tecnica che serve a raggiungere una dimensione interna fondamentale o ultima.
Non è una tecnica: non in modo preciso.
Penso sia utile essere seduti a gambe incrociate con la schiena dritta e mantenendo una certa basilare immobilità. La posizione deve servire ad essere svegli, presenti e non divagare. L'atteggiamento mentale dovrebbe essere quello di riconoscere i pensieri e gli attaccamenti come fenomeni naturali e passeggeri: non combatterli, ma esser coscienti che non seguirli è un punto fondamentale della pratica in cui invece ci si dovrebbe integrare con la Natura come la percepiamo dentro (respiro, sensazioni fisiche) e fuori (suoni, vista limitatamente allo spazio davanti a sé, sensazione dell'aria, temperatura, movimento di insetti, uccelli, fuoco, mare ecc…) di noi nel momento presente.
Per “integrarsi” non bisogna far nulla di speciale: basta rilassarsi nell'attenzione al momento presente della Natura dentro e fuori di noi.
Il momento della pratica dovrebbe essere un'occasione specifica per ritrovare direttamente la percezione della nostra fondamentale unità con il Tutto e dal momento che il “Tutto” è fondamentalmente la Natura, pratichiamo preferibilmente in luoghi in cui possiamo meglio percepire la Natura per praticare l'integrazione con essa.
Nei pensieri e nell'apparire spontaneo, iniziale, dei desideri e delle repulsioni ovvero - in questo senso di principio - degli attaccamenti, non c'è in sé niente di male: vivere è anche questo. Ma lo facciamo tutto il tempo e da una condizione illusoria di esseri separati, mentre invece il momento della pratica vuole esercitare proprio un atteggiamento mentale diverso da quello che perlopiù si esercita in pensieri ed attaccamenti, così li lasciamo passare, così come lasciamo passare una sigaretta offertaci che non fumiamo più.

Invece che “meditiamo nella Natura perché il Tutto è fondamentalmente la Natura” avrei forse potuto dire “perché il Tutto si manifesta nella Natura". Ma questo può essere molto fuorviante: dire “si manifesta” lascia intendere che c'è un “Tutto” che è qualcosa in sé e sta da qualche altra parte o dimensione, e poi c'è la Natura e la nostra esistenza normale quotidiana, basilare, qui ed ora, ma non è così.
Si tratta in realtà esattamente della stessa ed unica cosa.
Non “esiste” qualcosa che sia “il Tutto”, e in realtà non esiste neppure qualcosa che sia “la Natura”: esistono solo le varie esistenze/avvenimenti parziali e momentani nella loro realtà vissuta e vivibile ovvero che ha sempre anche un aspetto fisico (ciò che è materiale esiste, ciò che avviene esiste, le sensazioni esistono, il significato che gli diamo non del tutto, l'atto buono, generoso, giusto esistono, la bontà, la generosità, la giustizia, strettamente parlando, non esistono; le idee, i concetti sono utili strumenti, ma non esistono).
Ma se andiamo a capire cosa veramente sono queste esistenze/avvenimenti parziali/momentanei percepiamo, senza saper definirla, una realtà di fondo comune a tutto, una realtà di cui necessariamente facciamo parte anche noi, davanti alla quale le parole si fermano. Purtroppo, solo per un momento, poi lo chiamiamo “il Tutto” (o in mille altri modi…).
E siamo già andati troppo oltre perché questo “Tutto” non c'è, non in questo modo. Infatti noi siamo di nuovo lì, parziali e insoddisfatti come prima.
Ciò che avviene nel momento in cui le parole vengono meno è un attimo di integrazione: l'istante in cui percepiamo direttamente che ogni esistenza individuale (a partire dalla nostra) va infinitamente al di là di sé stessa.
E' una cosa che si vive, non è una cosa che si ottiene.
Ed essendo la nostra realtà fondamentale ed essendo alla base di tutti i nostri sensi e facoltà, possiamo farne esperienza in molti modi diversi, certo, non solo in relazione alla Natura, anche con altri esseri umani ed attraverso valori culturali, ma in questi casi le cose diventano molto più complicate e delicate e bisogna distinguere tra la reale esperienza di integrazione e le nostre proiezioni.
Anche sulla Natura possiamo fare, ovviamente, le nostre proiezioni, ma la Natura è molto più basilare, impersonale, onnipresente e non lascia tanto spazio a mistificazioni.
Soprattutto se cerchiamo di integrarci con essa anche su un piano materiale, economico e sociale oltre che semplicemente nella seduta meditativa.



Ciò che noi chiamiamo “il Tutto” è l'oggettivazione dell'esperienza di integrazione.
Ciò che chiamiamo “Illuminazione” è l'integrazione dal punto di vista soggettivo.
Entrambe le parole parlano di qualcosa di vero, ma che non esiste come alcunché di oggettivabile o di ottenibile/raggiungibile in modo permanente.
L'integrazione è una condizione dell'essere che assomiglia all'accordatura di due strumenti: quando i due strumenti si riconoscono nello stesso suono. E' una modalità del vivere che percepisce direttamente, e pratica, l'interrelazione e la consostanzialità di sé con tutto ciò che c'è intorno, ma su un piano vissuto nel momento presente e concretamente con le proprie caratteristiche di essere limitato e individuale, non cercando di superare sé stesso.
L'integrazione è una pratica di vita globale e in questa cresce. Non si tratta solo del momento quotidiano o del periodo intensivo di pratica meditativa, ma in tutti gli aspetti della vita e soprattutto in quelli più fondamentali come il lavoro, il consumo/economia, il sesso/amore e l'educazione dei figli va coltivata l'integrazione con la Realtà.

E la realtà, ripeto, è soprattutto la Natura.
Non è sempre semplice distinguere, nella nostra condizione umana, ciò che è Natura da ciò che non lo è, specialmente oggi. Direi che ciò che è Natura è senz'altro molte meno cose di ciò che è cultura, in tutti i sensi possibili, e cose molto più basilari e semplici, cose comuni a tutti gli esseri umani, problemi, limiti, necessità con cui questi si sono dovuti confrontare in tutti i tempi e in tutti i luoghi.
Uno scrittore diceva “la realtà è ciò che, quando hai smesso di crederci, è ancora lì”; penso che, applicando questo non solo alle credenze individuali, ma anche a quelle collettive/culturali, ci si avvicini a una definizione di ciò che è Natura.
Ma per comprendere ciò che è Natura, è utile soprattutto capire ciò che non lo è, anche perché la Natura è qualcosa di molto vicino al Tutto, davanti al quale le parole è bene che si fermino.
Se, ragionando in astratto e usando le parole come strumenti di descrizione, ci mettessimo dal punto di vista del Tutto, che gli esseri umani raggiungano o meno l'Illuminazione (o pratichino l'integrazione vedendola solo nel suo aspetto soggettivo) è del tutto indifferente: noi siamo già parte del Tutto, la nostra sostanza ultima è una con l'Universo, fin da sempre, da prima che nascessero i nostri genitori ecc….. Il Tutto è perfetto in sé stesso, vive e si muove non perché vada da qualche parte ma perché vivere è la sua essenza e la molteplicità delle forme è pure la sua essenza (perché se no non ci sarebbe neppure movimento(2)). Dal punto di vista del Tutto noi e un'ameba o un coniglio, un corallo, una montagna, valiamo lo stesso ed un essere umano illuminato o meno sono uguali. Noi non siamo diversi dal gatto o dall'oca quanto alla nostra Illuminazione fondamentale - e chissà se quando un gatto o una rana o un leone se ne stanno accucciati immobili per ore a fissare nel vuoto non facciano qualcosa di simile alla meditazione? Non vivono forse una condizione profondamente integrata col resto del mondo e con il proprio corpo? Chissà che qualità interiore c'è nel modo di combattere e morire, ma anche fuggire, se è il caso, degli animali?
Possiamo davvero essere certi che l'Illuminazione sia qualcosa che spetti di diritto più a noi che a loro mentre siamo tutti parte dello stesso “Tutto”?
E in cosa veramente ci differenziamo?
Se vogliamo prendere per buona una prospettiva in qualche modo evoluzionistica o comunque che escluda interventi sovrannaturali, dobbiamo mettere in linea ciò che ci differenzia dagli animali con ciò che li differenzia fra di loro.
Ciò che differenzia le varie specie animali sono “strumenti” o espedienti o soluzioni atte a garantirsi la sopravvivenza e, se possibile, anche una condizione di vita relativamente agevole. Questo obiettivo può esser raggiunto in mille modi all'interno del contesto in cui si trovano a vivere: occupando una determinata nicchia ecologica, formando il proprio corpo in un certo modo, adottando strategie comportamentali, affinando organi di senso ecc…
Visto che l'evoluzione è la gara che da sempre tutte specie corrono su tutta la Terra per aggiudicarsi le condizioni migliori verso questo obiettivo nella maggior parte possibile dei diversi habitat del pianeta, si può dire che la specie che ha ottenuto i migliori risultati in questo senso è la più evoluta e - a parte come potrebbe andare a finire in un futuro prossimo - finora quella umana è senza confronti la prima.
Ma non credo che noi siamo intrinsecamente superiori né che la facoltà dell'Illuminazione appartenga solo a noi.
Credo piuttosto che ciò che ci rende peculiarmente umani sia l'aver immensamente sviluppato lo strumento-coscienza dal quale discendono una serie di adattamenti e adattabilità percettivi, gnoseologici, tecnologici e culturali (tutte parole da intendersi in senso molto ampio) tutti basati fondamentalmente sulla visione dualistica soggetto-oggetto, che ci ha consentito un modo estremamente complesso e raffinato, rispetto a tutte le altre specie, di rapportarci col mondo (noi stessi compresi) rendendoci la vita per certi versi più facile e per altri più complicata.
Parliamo pur sempre però di strumenti di sopravvivenza o di benessere, non di una nostra natura essenziale quanto alla quale, invece, siamo parti del Tutto come tutte le altre.
Non si può sapere se gli animali, o alcuni di essi, possano far esperienza di stati di integrazione con tutto l'esistente che potremmo chiamare “Illuminazione”, ma credo senz'altro che, tanto più complesse e raffinate ed ampie e molteplici sono le modalità di rapporto col mondo di un essere, tanto più profonda e ricca può essere la sua capacità ed esperienza di integrazione (proprio perché c'è più da integrare). E non intendo questo solo nell'esperienza individuale meditativa o comunque interiore: anche nell'aspetto esterno, pratico/materiale e non (per es. relazionale) dell'integrazione con la Natura di un praticante perché questa investe tutti gli aspetti della sua vita e della sua presenza nel mondo.

Preferisco parlare sempre di integrazione nella Natura, perché questa è la nostra base: la Cultura sorge a partire dal rapporto con la Natura, prende forma dalla forma di questo rapporto. Quando avviene l'inverso di solito sono guai: anche se si volesse partire da un approccio culturale ecologista con tutti i suoi ideologismi ed implicazioni umanistiche, credo non si andrebbe né bene né lontano. Bisogna ripartire da una integrazione pratica, diretta, con la Natura basata sulla ricerca diretta di questa così com'è, depurata da sovrastrutture culturali e trovata non in una definizione astratta di cos'è questa fantomatica “Natura” (che, come ripeto, non esiste in sé), ma nel nostro vivere in rapporto con essa praticamente, economicamente, lasciando che questo rapporto condizioni le forme delle nostre relazioni umane, delle nostre espressioni culturali ed osservando come e perché tutto questo avviene.
Questo che, al di là della pur importantissima pratica “meditativa” quotidiana, è propriamente il processo di integrazione come pratica continua di vita per sé e per il mondo che ci circonda.


NOTE:
(1) Probabilmente in ultima analisi nell'universo e nel Tempo potrebbe non esserci nulla di veramente immutabile, ma ciò che potrebbe essere in sistemi planetari o galassie lontanissimi e diversissimi dal nostro, o in questo stesso, ma in tempi altrettanto lontani, diciamo che, tranne che a livello oziosamente speculativo, non ci riguarda.
(2) In realtà, a ben vedere, Varietà (delle forme, di esistenze individuali) e Movimento sono le due facce di un unico aspetto fondamentale della Realtà. Il movimento implica il cambiamento e questo a sua volta comporta in momenti diversi forme e condizioni diverse: dal punto di vista dell'unità del movimento della Vita, forme ed esseri individuali - sia a livello di individui come pure di specie ed altri tipi di insiemi - sono fasi diverse di un unico infinito movimento. Al tempo stesso l'interazione tra esseri individuali diversi provoca necessariamente movimento: se gli esseri non fossero in qualche modo tra loro diversi non potrebbero interagire, non ce ne sarebbe né il senso né il modo, e se non interagissero neanche davvero si potrebbe dire che siano esseri individuali, ma solo tessere di un mosaico a tinta unita.

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