Ecofondamentalista. Riflessioni di un neo-contadino
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La marginalizzazione dei contadini costretti alla clandestinità
e il ruolo moderno delle leggi come strumento di repressione delle alternative economiche

Fin dalla sua origine il sistema industriale - capitalista - consumista - global/finanziario (d'ora in avanti semplicemente "il Sistema") conduce una guerra non dichiarata contro i contadini. I quattro aggettivi appena elencati per caratterizzare questo sistema non vanno intesi solo come suoi diversi aspetti, ma anche come fasi storico/evolutive del percorso di crescente egemonia attraverso cui tale sistema è riuscito ad estendere il proprio dominio su tutto il mondo.
Ogni volta che in un dato Paese è avvenuto un passaggio in cui questo Sistema ha ulteriormente consolidato la propria affermazione, i contadini sono stati colpiti. Già all'origine della iniziale accumulazione capitalistica troviamo il fenomeno seguito alle enclosures, le privatizzazioni delle terre comuni nell'Inghilterra dei secoli XVII-XIX, che spinsero grandi masse di contadini poveri, ritrovatisi senza più fonti di sussistenza, verso le città e li trasformarono in una immensa riserva di manodopera a costo minimo a disposizione dei proprietari delle macchine da impiegare nell'allora nascente ciclo produttivo industriale. A questa prima accumulazione di profitti è potuto seguire tutto il successivo sviluppo del capitalismo, ma difficilmente si sarebbero potute trovare tali masse di lavoratori disposti/costretti a lavorare in un modo che allora sarà sembrato quantomai innaturale e per così bassi salari se non si fosse impedito loro - attraverso la recinzione delle ex-terre comuni ora privatizzate - di continuare ad autoprodursi la forma di sussistenza della quale avevano sempre vissuto, in modo certo povero, ma autonomo.
Anche quando il capitalismo inglese, giunto ad uno stadio successivo di sviluppo, occupò l'India facendone una sua colonia, non mancò di minare alla base l'autonomia dei contadini indiani espropriandoli delle fonti basilari dalle quali traevano la sussistenza da ciò che il territorio in cui vivevano gli offriva. Ecco quindi il divieto di raccogliere legna da ardere dalle foreste (da cui oggi deriva l'uso diffuso nel subcontinente di bruciare al suo posto il letame essiccato) e di prendere il sale da cucina direttamente dal mare. Non a caso Gandhi individuò come questione centrale per mobilitare alla lotta per l'indipendenza quella della libertà di raccogliersi il sale dal mare, insieme alla filatura a mano in casa del cotone - cotone indiano - per prodursi i tessuti, come elementi basilari per indicare ai popoli dell'India la via per recuperare la propria autonomia economica e con essa la propria dignità e libertà.
Anche in Occidente il percorso sviluppista del capitalismo si è presentato in forme molto simili a quelle di un colonialismo interno nei confronti delle comunità rurali: si è trattato, sebbene in forme diverse da quelle attuate nei paesi extraeuropei, dell'occupazione di spazi ecologici ed economici (oltre che socio-culturali) che erano prima disponibili per e regolati da un diverso sistema che era autogestito ed in ampia misura autogovernato dalle comunità, perlopiù contadine (nelle quali c'è sempre anche una componente di artigianato), che li abitavano. Questa occupazione si è affermata grazie soprattutto all'abbandono in cui lo Stato ha lasciato le campagne durante la fase dell'industrializzazione. Lo abbiamo visto molto bene in Italia quando, tra gli anni '50 e '60, grandi masse di popolazione rurale hanno dovuto lasciare le zone montane e collinari per trasferirsi intorno ai poli industriali trasformandosi in quella riserva di manodopera a buon mercato che permise ai capitalisti nostrani di contenere i salari e le rivendicazioni sindacali e quindi produrre la propria accumulazione di capitale. Con ciò queste popolazioni hanno, al tempo stesso, dato il via a quel fondamentale volano economico che è stato, nel nostro paese, il boom dell'edilizia, dato che si dovettero costruire le periferie delle grandi città per dare alloggio a tutti questi nuovi lavoratori. Nel frattempo le campagne venivano abbandonate, con tutte le conseguenze ambientali che vediamo oggi (come ad esempio l'abbandono della manutenzione del territorio, del paesaggio, degli equilibri idrogeologici che era prima assicurata dalla presenza capillare, attiva e continua dei contadini anche in tutte quelle zone oggi classificate come "marginali" o "depresse" e pertanto abbandonate).
Oggi, nell'economia della globalizzazione, a svolgere la stessa funzione che in passato fu delle enclosures o altrove del divieto dell'esercizio di quelli che da noi si chiamano gli "usi civici" (come ad esempio della raccolta della legna o del sale in India), abbiamo tutta una serie di accordi internazionali sul commercio, sui diritti esclusivi di proprietà intellettuale/brevetti sugli organismi viventi, di regolamenti che pongono limiti e requisiti obbligatori per poter produrre e vendere legalmente i prodotti agricoli (requisiti spesso molto costosi da soddisfare, in quanto comportano l'acquisto di attrezzature, strumentazioni e locali "a norma"). Ciò - pur a partire da una condizione teoricamente paritaria di tutti i produttori di fronte alla legge, e pur apparentemente in seguito a principi di ordine puramente "tecnico", "scientifico" e con ciò "neutro" - mette di fatto fuorilegge chi lavora e produce su piccola scala, magari in modo più sano e sostenibile dal punto di vista ecosistemico, magari con prodotti di livello qualitativamente molto più alto, ma senza che ciò gli permetta di avere un capitale da investire per soddisfare tali severi requisiti richiesti per legge: i contadini, appunto.

Ma a cosa è dovuta questa guerra non dichiarata che il Sistema conduce fin dalla sua origine contro i contadini?
Questo tipo di sistema, a differenza di quelli dell'antichità o del Medioevo, ha bisogno della partecipazione, della più o meno volontaria integrazione in sé da parte della gente, sia come operai/produttori (soprattutto fino ad un certo suo stadio di sviluppo) sia come consumatori (in misura prevalente a partire da un certo stadio in poi). Ciò lo differenzia in modo significativo dalle forme di dominio antiche o feudali in quanto in queste ultime al potere era sufficiente occupare militarmente un territorio ed imporre dei tributi perché la popolazione fornisse al sovrano (o al feudatario) parte di ciò che produceva e/o delle risorse che, in vari modi, "estraeva" dal proprio territorio. L'occupazione ed il controllo militare erano sostanzialmente sufficienti in quanto a quel tempo la popolazione dei territori sottomessi era tutta composta perlopiù da contadini (che all'occorrenza erano pure manovali) e ciò che gli veniva richiesto di fare era sostanzialmente null'altro che ciò che avrebbero fatto comunque. Come tipo di lavoro. La differenza ora era che una parte di questo lavoro doveva essere svolto non per sé ma per il potente di turno. E va altrettanto tenuto presente che si trattava allora di un'economia in parte importante non-monetaria: in cui il denaro costituiva solo una parte della ricchezza, una parte molto meno centrale di ciò che è avvenuto in seguito e certamente non assoluta come oggi. I tributi stessi, infatti, erano spesso pagati in prodotti o in prestazioni di manodopera e non sempre in denaro.

Il coinvolgimento della gente nel sistema industriale (e poi nei suoi sviluppi in termini di capitalismo - consumismo - finanza globale) fino a renderla del tutto dipendente da esso, ha richiesto necessariamente una serie di passaggi che rendono questa forma di dominio del tutto diversa da quelle precedenti, al punto che, tra le altre cose (e soprattutto dopo la fase del colonialismo), oggi neppure è più necessaria l'occupazione militare dei territori (tranne in casi eccezionali e comunque solo temporaneamente o solo mantenendovi singole basi militari) e la strutturazione politica degli stessi (lo Stato), se non proprio è diventata un ostacolo, è più convenientemente rimodellabile e rimodellata secondo le esigenze contingenti.
I passaggi necessari per ottenere il coinvolgimento della gente nel Sistema si sono ottenuti e si ottengono in vari modi ed in parte importante certamente attraverso la propaganda. Questa prende la forma della pubblicità, ad un livello superficiale (ma non per questo meno efficace, data la sua costante presenza e pervasività), ma ad uno più profondo si esprime nelle mode, estetiche, di costume, senza dubbio, ma anche nelle mode ideologiche, che formano la visione del mondo convenzionale e prevalente e sono alimentate non solo da personaggi dello spettacolo, ma anche da giornalisti ed intellettuali e, non ultimi, perfino da molti insegnanti nelle scuole e nelle università. Tuttavia, anche in questa forma contemporanea di dominio, non è certo scomparso l'uso della forza da applicarsi nel caso in cui la propaganda non fosse sufficiente. Oggi però la forza deve essere esercitata se possibile in modo meno apertamente brutale di quanto non fosse in passato. Almeno all'interno di quei Paesi in cui il sistema nella sua fase consumistica si è già pienamente affermato. Il Sistema ha bisogno di partecipazione: i passaggi all'ottenimento dei quali serve la propaganda e perfino la forza devono portare all'integrazione della gente nel Sistema e non alla ribellione o - peggio ancora - alla dissociazione da esso. L'integrazione nel Sistema - soprattutto nel ruolo di consumatori - è legata all'idea positiva che le persone hanno di questo Sistema (criticandolo, certamente, ma che resta un'idea fondamentalmente positiva o, almeno, come di qualcosa di irrinunciabile, senza alternative credibili). E particolarmente l'attitudine consumista è strettamente legata all'idea di libertà individuale e di pluralismo che viene associata ai consumi (cosa che, a ben vedere, è palesemente contraddetta dal fenomeno delle mode.....ma tant'è).
L'esercizio della forza verso chi non si adegua alle esigenze del Sistema, verso chi è recalcitrante ad incanalarsi nelle forme che, via via più stringenti, esso pone come necessarie per vivere al suo interno, in un tale Sistema, deve essere mediato, e ciò avviene attraverso le leggi. Le leggi non sono arbitrio, ovviamente: sono decise da un parlamento ed a seguito di un dibattito che si suppone lungo ed approfondito. Però - senza ora entrare nel merito della situazione contingente italiana in cui la leggittimità stessa dell'attuale parlamento e l'effettiva democraticità dei sistemi elettorali sarebbe tutta da discutere - nella società contemporanea le cose sono molto complicate e l'economia conta molto più della politica. E qui non si sta parlando di chi "non si adegua alle richieste del Sistema" nel senso di chi gli si ribella su un piano culturale, estetico, di costume/comportamenti sociali e nemmeno tanto di chi lo fa in termini di idee politiche: qui sto parlando di chi si pone in alternativa su un piano sistemico ovvero economico, di forme di vita e di sussistenza concrete, materiali, che riguardando le forme di produzione, di consumo e di interazione socio-lavorativa con i propri simili ed ecosistemica col territorio in cui vive. Qui si entra quindi nel campo delle leggi che regolano le attività produttive, il lavoro, le tecniche..... tutte cose, cioè, piuttosto complesse, che richiedono competenze specifiche anche solo per capire di cosa si stia parlando e che sfuggono al dibattito politico-culturale corrente. Tutte cose "tecniche" e pertanto apparentemente "neutre", nel senso di non determinate dall'ideologia o da una visione del mondo, bensì da fatti misurabili e valutabili oggettivamente. Così almeno si può (far) credere che sia.
In realtà, però, in una società in cui si dice che "il mezzo è il messaggio" o in cui si riconosce il potere di oggetti e tecniche nel dar forma ad una cultura, è chiaro che le cose son ben lungi dall'essere così semplici. E ciò non vale solo nel caso di particolari tecniche oggetto di dibattiti bioetici, bensì anche per cose molto più ordinarie, ma sulle quali presunte giustificazioni di sicurezza, efficienza, competitività e "scientificità", nascondono un approccio ideologico, quello sviluppista, ispirato alla crescita economica obbligatoria e ad una malintesa idea di "progresso", ed il suo tentativo di portare ad estinzione forme di attività economica e produttiva volte ad una sussistenza autogestita grazie alle quali fino a poco tempo fa (ed ampiamente tuttora altrove nel mondo) la gente ha potuto vivere senza dipendere completamente da un Sistema estraneo. Come nel caso, in primo luogo, di quelle contadine.

Ma qual'è il pericolo che i contadini rappresentano per il Sistema per cui quest'ultimo deve costantemente combatterli, a volte con la violenza aperta, a volte attraverso le leggi? È chiaramente il fatto che i contadini possono permettersi di non partecipare, di non integrarsi nel Sistema; o di integrarvisi solo molto limitatamente o di scegliere in che misura farlo. Perché hanno una base materiale di sussistenza autonoma ed autogestita (naturalmente si sta parlando qui dei contadini e non degli imprenditori agricoli dediti a forme di agricoltura industriale e legati alla catena dell'industria agroalimentare).
Nella fase attuale del capitalismo avanzato un tale livello così parziale ed incerto di coinvolgimento nel Sistema non può essere sufficiente e ciò vale soprattutto se pensiamo ai milioni di contadini che tuttora costituiscono la maggioranza della popolazione in molti Paesi del mondo. In questa sua fase avanzata il capitalismo (industriale - consumista - global/finanziario) va occupando l'intero pianeta sempre più in senso letterale: tendenzialmente cerca di (e sempre più riesce ad) egemonizzare ogni angolo della Terra ed ogni aspetto della vita sociale rendendolo in qualche modo un'attività di significato economico (che infatti vieppiù in termini economici tendiamo ormai a valutare). Questo però non è solo un segno del successo che il capitalismo ha ottenuto nell'occupare il mondo: è altrettanto una manifestazione della sua corsa verso il collasso in quanto il Sistema è costretto ad espandersi in questo modo, in modo assoluto, in quanto il suo funzionamento intrinseco lo costringe a crescere ed accellerare sempre di più, proiettandosi nello spazio (ormai pressoché esaurito) ma anche nel tempo (che si è ormai già mangiato: finanziariamente col meccanismo del debito e dei vari tipi di fondi speculativi "derivati" e simili, ed ecologicamente con le conseguenze future delle attività attuali). Questo Sistema si comporta letteralmente come un cancro che cresce nel mondo da un paio di secoli e mezzo circa, ma, come un cancro, dimostra nei fatti la sua impossibilità ad esistere - il suo essere in ultima analisi un'illusione - dato che il suo stesso funzionamento di esistenza lo condurranno necessariamente a distruggere l'organismo che lo ospita e che gli permette di vivere: un organismo che ha dei limiti insuperabili e che pertanto non potrà sopportare al proprio interno la crescita illimitata di una sua componente. In questa sua inevitabile corsa verso l'espansione e l'occupazione di tutti gli spazi il successo del capitalismo è direttamente proporzionale alla sua precarietà, alla sua "disperazione" - al suo non potersi permettere di non occupare qualche spazio - e pertanto sempre meno può tollerare anche la sola possibilità che sussistano delle alternative, anche perché il suo volto splendente e desiderabile che ha dato finora forza alla sua propaganda si sta rivelando accessibile ad una parte sempre minore della popolazione mondiale - e sempre più lo sarà - mentre crescono coloro per i quali quello terrificante, quello a lungo termine vero, diventa manifesto. E questi prima o poi dovranno cercarla un'alternativa.

Ma l'alternativa - ovvero il pericolo, per il Sistema - rappresentata dai contadini non si limita al fatto che questi sono in grado di nutrirsi di ciò che autoproducono, nemmeno che possono autoprodursi anche un'altra serie di beni e servizi non solo alimentari (cosa che in qualche misura, peraltro, potrebbero fare anche i non contadini): ciò, di per sé, sarebbe - almeno nei Paesi sviluppati - un trascurabile dettaglio per il Sistema, trattandosi di un fenomeno di proporzioni pressoché irrilevanti a fronte delle masse consumiste che popolano questi Paesi. Ed infatti non c'è alcuna legge (almeno finora) che proibisca di coltivarsi un'orto o allevare qualche pollo per la propria famiglia.
Una presenza diffusa di contadini sul territorio, però, costituirebbe anche la base per la possibilità di creare sistemi di distribuzione dei prodotti alimentari alternativi alla grande distribuzione, circuiti locali legati al territorio, su piccola scala, compartecipati fra produttori e cosnumatori e sottratti al controllo (ed ai profitti) dei grandi "players" dell'agroalimentare.
E questo già rappresenta un pericolo maggiore per il Sistema, ed infatti i regolamenti europei e le leggi nazionali, soprattutto in materia igienico-sanitaria, pongono come obbligatori tali e tanti requisiti quanto a locali di lavorazione, attrezzature, mezzi di trasporto "a norma" e complicazioni burocratiche che di fatto impediscono alla grande maggioranza dei piccoli contadini di lavorare se non esponendosi costantemente al rischio di multe che non potrebbero pagare col loro lavoro o, in alternativa, all'obbligo, per mettersi in regola, di affrontare investimenti che altrettanto non potrebbero sostenere. E ciò li mette praticamente fuorilegge, lasciando tutto il campo libero per le aziende agricole industriali.
Ma soprattutto ciò che i contadini non fanno, a differenza dell'agricoltura industriale, è alimentare il vero business che sta dietro oggi all'agricoltura e che nei termini che contano per il Sistema (quelli della crescita del PIL) è oggi il vero senso del produrre cibo nei Paesi industrializzati, soprattutto europei (non fosse per il quale, dal punto di vista economico, tanto varrebbe probabilmente lasciare queste produzioni del tutto ai BRICS - più forse USA, Argentina e qualche altro). Ed è questa forse la colpa maggiore dei contadini: mostrare che ancora oggi c'è la possibilità di un modello agricolo differente, che non si basi prioritariamente sull'investimento di grossi capitali e sul ritorno profittevole che ne deve seguire; che trovi il suo senso nella produzione di cibo sano e buono ed alla portata di tutti, prodotto nel rispetto di chi ci lavora e grazie a forme di interazione con gli ecosistemi che ne sappiano mantenere la salute ora e nel tempo ed al contempo salvaguardino territori, paesaggi, biodiversità, qualità dell'acqua ecc.... Al contrario il senso che ha oggi l'agricoltura nell'ottica del Sistema è quella di far da perno perchè possano girare i business delle industrie petrolchimiche (fertilizzanti, pesticidi, diserbanti ecc...), petrolifere (carburanti per macchine agricole e trasporti di prodotti da una parte all'altra dei Paesi e del mondo), meccaniche (trattori ed altri attrezzi agricoli), delle banche (leasing, prestiti, contributi europei...), delle assicurazioni (polizze su volatilità dei prezzi ed emergenze metereologiche), le speculazioni finanziarie sulle commodities, i business delle aziende sementiere e di ingegneria genetica, delle aziende di trasporti, della GDO (Grande Distribuzione Organizzata), dei servizi all'agricoltura, di professionisti, consulenti, associazioni di categoria...... È per tutto questo giro di affari che serve oggi l'agricoltura industriale, basti dire che in Italia, se la produzione del cibo vale per il 3% sul PIL l'interezza del settore agroalimentare correlato costituisce il 18% (6 volte tanto e non vi sono comprese tutte quelle attività industriali e di servizi - petrolchimica, banche ecc... - apparentemente appartenenti a tutt'altri ambiti produttivi ed economici). Ma a questo punto nemmeno si può più parlare veramente di agricoltura bensì di un accessorio dell'industria e dei servizi, un pretesto per far lavorare una parte di questi settori. Ed un pretesto paradossale perché se l'agricoltuta industriale fa da "perno" per far girare la ruota (molto più grande) degli altri business, al centro, per come è concepito il sistema, in realtà si trova ciò dovrebbe essere alla periferia, ciò che è correlato, mentre invece l'importanza marginale è assegnata proprio alla produzione del cibo e con essa alla qualità di ciò che mangiamo e dell'ambiente in cui viviamo.

Il modello agricolo praticato dai contadini invece non potrebbe supportare un tale volume di business "correlati", perché non ne avrebbe bisogno: in parte sì, ma in misura del tutto insufficiente per le esigenze del capitale. Seguendo queste ultime, però, in cambio dei vantaggi iniziali di un impiego esagerato di tecnologia, meccanizzazione e chimica, i contadini (a questo punto trasformatisi in imprenditori agricoli, produttori di derrate alimentari finalizzate al mercato) perdono definitivamente la propria autonomia e diventano dipendenti da ed ingranaggi di un Sistema, cosa che invece non è mai stata la condizione di vita dei contadini, che hanno invece trovato - adattandosi in modo intelligente e lungimirante ai diversi ambienti in cui si sono trovati - nella propria interazione con gli ecosistemi e nell'autoorganizzazione delle proprie comunità la fonte diretta della propria sussistenza.

Attraverso un lavoro intelligente ed equilibrato, che sapeva trovare le soluzioni migliori e più economiche tenendo conto anche degli effetti a lungo termine delle proprie azioni, si è sempre riusciti a questo mondo a sostenersi mantenendo al tempo stesso la base di risorse disponibili in buone condizioni di salute ecosistemica e lasciandole fruibili per i posteri. Ciò è stato perché l'orizzonte delle proprie attività NON erano la crescita a tutti i costi e la "competitività" sui mercati, bensì la sostenibilità. Questo potrebbe benissimo avvenire anche oggi: ci sarebbero anzi le condizioni perché possa darsi in modo perfino più efficace e meno faticoso che in passato e non c'è alcuna ragione perché questo debba comportare pratiche insicure per l'igiene e per la sicurezza alimentare. Basterebbe che ci fosse la volontà politica di concepire regole differenziate per i diversi tipi di produzioni, per i diversi modelli di agricoltura: semplici per quelli semplici, che restano sulla piccola scala e su base locale, e più impegnative ed esigenti per quelli più grandi e complicati che comportano potenzialmente rischi e ricadute di vasta portata. Basterebbe studiare attentamente le diverse condizioni e trovare le forme adeguate: non è certo impossibile. Ma ci vuole la volontà politica.

Se questa non c'è e si preferisce fingere che l'unico modo per evitare epidemie dovute a scarsa igiene alimentare sia obbligare tutti indiscriminatamente a dotarsi di attrezzature e metodologie degne di spedizioni spaziali - dalle quali ha effettivamente avuto origine il sistema dell'HACCP - che comportano investimenti che per molti sono inarrivabili, vuol dire che la legge svolge anche altre funzioni, oltre quella di garantire la sicurezza: serve a porre uno sbarramento che, non essendo giustificabile politicamente, funziona di fatto sul piano economico, chiudendo la strada a chi sarebbe in grado di proporre delle alternative possibili al sistema dominante. Alternative reali, economiche e praticabili da moltissimi che troverebbero nell'agricoltura contadina non solo una fonte di cibo sano e di occupazione, non solo una forma di vita e di lavoro che è al tempo stesso salvaguardia di territori, paesaggi e biodiversità, ma, ancor di più, la consapevolezza che è ancora possibile per le persone comuni recuperare autonomia da un Sistema che ha ormai occupato tutti gli spazi della vita economica e sociale (e quindi pure culturale, che ha occupato l'immaginario stesso) e liberarsi dalla dipendenza assoluta dal denaro e da uno stipendio (e quindi da chi è nella posizione di darlo) che lo assicuri.
Non si sta qui certamente parlando di vivere senza il denaro o staccandosi totalmente dalle strutture che organizzano la società - come probabilmente qualcuno vorrebbe strumentalmente (far) intendere quando sente questo tipo di discorsi - ma dovrebbe essere chiaro che, al punto in cui siamo di avanzamento ma altrettanto di precarietà del capitalismo ovvero della sua assoluta necessità di egemonizzatre tutti gli spazi possibili, anche solo una diminuzione del coinvolgimento nel Sistema, anche solo una parziale non-dipendenza dalle fonti del denaro o un uso di esso meno assoluto per ogni aspetto della vita, che riguardasse una parte numericamente importante della popolazione basterebbe a mettere in crisi tutto il Sistema: a sottrargli la base d'appoggio.
Per la gente sarebbe invece un ottimo modo per riappropriarsi della propria vita, del proprio lavoro, della propria creatività ed immaginazione applicandole a necessità concrete, di riappropriarsi del mondo/ambiente in cui vivono, del senso delle cose e di ciò che fanno per vivere. E sarebbe un'ottima risposta a quella che oggi viene chiamata "la crisi" (l'incapacità ormai conclamata da parte del Sistema di assorbire la forza-lavoro in cerca di occupazione): una risposta "dal basso" e nell'interesse della gente comune, che è legata ai territori in cui vive; una risposta diversa da quella che viene presentata come l'unica disponibile a cui ci si deve rassegnare, fatta di precariato e disoccupazione, di colloqui di lavoro che non portano a nulla, corsi e concorsi con gli stessi esiti, contratti a termine, "a progetto", "a chiamata" ecc.... Con leggi diverse da quelle attuali l'agricoltura contadina (insieme alla messa a disposizione - e non in vendita - delle centinaia di migliaia di ettari di terreni incolti presenti in Italia) potrebbe tornare ad essere una base per la sussistenza ed in parte per il reddito - potendo vendere le eccedenze ed una parte di prodotti trasformati - che, come minimo ed anche per coloro che non avessero abbastanza terra, tempo o voglia per vivere solo di quello, ridimensionerebbe in misura importante, decisiva per le sue ricadute sul modello di società, l'attuale dipendenza assoluta da uno stipendio.

Le leggi che rendono impossibili o molto difficilmente praticabili le forme alternative di economia, in modo dissimulato dal loro essere attinenti a questioni "tecniche", portano ad estinzione delle possibilità reali di vita per gli esseri umani e le società. Alla lunga, facendole diventare cose che non si vedono più nella realtà quotidiana - sia perché sempre meno gente le pratica sia perché chi lo fa deve farlo di nascosto - le fanno uscire dalla cultura, dall'immaginario: le fanno diventare cose ritenute irrealistiche, non-credibili (sebbene fossero fino a pochi decenni prima semplicemente ciò di cui la gente viveva ed aveva vissuto normalmente per innumerevoli generazioni) fino a trasformarle in cose che appaiono impossibili o adatte solo a pochi eccentrici, emarginati o semi-pazzi, finché diventano nemmeno più immaginabili, inesistenti.
Bisogna essere consapevoli, al contrario, che questo tipo di estinzioni forzate - tra le tante estinzioni di forme di vita di cui il Sistema industriale-capitalista-consumista-global/finanziario è responsabile - sono nulla meno che un pericolosissimo impoverimento ed una precarizzazione delle possibilità di sopravvivenza del genere umano in quanto tale.



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