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INTERVENTO DI PRESENTAZIONE DI

"TERRA E FUTURO. L'AGRICOLTURA CONTADINA CI SALVERA' "

ALL'UNIVERSITA' LINK CAMPUS DI ROMA

Come avviene nei periodi delle grandi transizioni nella Storia siamo già in una nuova fase mentre guardiamo ancora il mondo con gli occhi di ieri: il modello dello sviluppo a tutti i costi è finito: è una verità semplice ed autoevidente che non si può crescere all'infinito in un mondo limitato.

Il modello dominante continua a seguire lo sviluppo fine a sé stesso perché il rilancio continuo degli investimenti gli è intrinsecamente necessario, non solo dal punto di vista produttivo per incrementare consumi ed occupazione (aumentare il numero dei consumatori), ma ormai anche solo da quello finanziario. Si tratta però di una enorme ipoteca sul futuro che coinvolge tutto il pianeta mentre di fatto gran parte dell'umanità non vive secondo questo modello e non si avvantaggia del suo progredire, né potrà parteciparvi degnamente neppure in futuro: sappiamo benissimo tutti che servirebbero tre o quattro o cinque pianeti perché tutta la popolazione mondiale possa vivere come nei Paesi sviluppati. Questo è un sistema di vincitori e vinti in cui per moltissime persone non c'è posto se non come marginali e dimenticati.

Questo è il caso soprattutto per le popolazioni rurali tradizionali che non sono interamente coinvolgibili nell'economia di mercato e globalizzata e che vengono allontanate o marginalizzate dalle stesse terre dove hanno sempre vissuto in seguito al crescente fenomeno del land-grabbing che è solo uno degli esempi delle conseguenze del vedere la terra come una risorsa da mettere a reddito senza considerare tutta la complessità del suo essere un ecosistema non solo naturale, biologico, ma anche agricolo ed antropico. Questa considerazione dell'aspetto antropico, umano, integrato con gli aspetti ambientali, è un punto centrale che distingue l'agricoltura contadina da quella industriale. L'agricoltura contadina è spesso chiamata “agricoltura informale”, ma, se per sistema formale dobbiamo intendere quello centralizzato, regolato da leggi, regolamenti di vendita, registrazioni obbligatorie sia delle sementi che delle aziende, diritti esclusivi di proprietà, standards uniformi concepiti a misura della lavorazione e della distribuzione industriali ecc…, il settore “informale” potrebbe essere meglio definito come un sistema auto-controllato dai contadini, organizzato su base locale ed, anche per questo, integrato con le necessità dei consumatori.

È un fatto storico che ovunque una potenza abbia voluto colonizzare un popolo, la prima cosa che ha fatto è stato sempre sradicare la capacità di autonomia dei contadini dovuta al potersi produrre da sé il cibo e quanto serve alle necessità di base. Ciò avvenne con gli enclosure acts in Inghilterra tra il 17th e il 19th secolo che riversarono masse di ex-contadini privati dell'uso delle terre comuni e creando così la prima classe di operai industriali di proporzioni sufficienti a far decollare l'era del capitalismo in Occidente e da qui nel resto del mondo.

Ciò è stato nelle colonie britanniche, come in India, dove era vietato alla gente raccogliere il sale o prodursi i tessuti di cotone come sempre aveva fatto; ed è avvenuto nei regimi comunisti in cui i grandi programmi di pianificazione economica hanno avuto come maggiori vittime i contadini, i quali proprio grazie alla loro autonomia alimentare e non solo erano i più difficilmente governabili in un disegno su vasta scala. Ciò avviene oggi con la privatizzazione delle terre a milioni di ettari ed avviene soprattutto con gli accordi internazionali sul commercio e sui diritti di proprietà intellettuale, con i brevetti sulla vita di cui quelli sulle sementi sono uno tra gli esempi più preoccupanti per i contadini.

Oggi il mercato globale delle sementi è in mano per il 60% alle tre prime aziende multinazionali (la Monsanto da sola ne controlla il 30%) e con le prime 10 arriviamo all'80%. Queste sono le stesse aziende che controllano l'agrochimica e gli OGM (come possiamo credere che gli OGM ridurranno l'uso della chimica?). Attualmente al Parlamento Europeo si discute di una nuova normativa che probabilmente lascerà spazio legale solo alle sementi registrate limitando al minimo, se non cancellando del tutto, la possibilità dei contadini di selezionare e rivendere da sé le proprie sementi.



Questo significa minare alla base il controllo dei contadini sulle proprie attività e mettere l'agricoltura fin dalla base della produzione primaria in una condizione di dipendenza dalle multinazionali. Questo significa per le multinazionali la possibilità di controllare il cibo nel mondo, il che sigifica chiaramente un potere enorme per loro ed un grave pericolo per la stessa democrazia.

I Paesi occidentali considerano sé stessi il punto più avanzato dei sistemi democratici nel mondo, ma proprio in questi mesi stanno andando avanti le trattative sugli accordi TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) per una sorta di mercato unico tra UE ed USA che stanno venendo discussi praticamente in segreto, lasciando ai margini il Parlamento Europeo, ma con la partecipazione attiva ed influente delle Corporations. Questi accordi vanno nella direzione di una forte liberalizzazione, abbattimento di barriere, soprattutto delle «barriere non tariffarie» - sarebbe a dire tutte le regole e gli standard che che l'UE si è data in materia di normative ambientali, diritti dei lavoratori, sicurezza e sovranità alimentare, ecc. - che è poi la sostanza della partita del TTIP (dato che le barriere tariffarie tra UE ed USA sono già a livelli minimi).

Si dice che verranno favorite le esportazioni per le piccole-medie imprese, ma, stando al OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio - in inglese WTO), delle 210.000 imprese italiane che esportano, il 72% delle esportazioni è detenuto dalle prime 10, quindi i vantaggi andranno pressoché del tutto a queste ultime, mentre l'arrivo di molti prodotti statunitensi (che devono rispettare standard meno esigenti) potrà penalizzare i nostri.

L'accordo, se approvato faciliterà l'ingresso in Europa degli OGM mettendo in questione il principio di precauzione (non previsto negli USA), aprirà il mercato alla carne di animali alimentati con ormoni ed antibiotici (come è permesso negli USA) e permetterà la pratica del fracking per l'estrazione di gas e sabbie bituminose (altrettanto permessa negli USA ma sospettata di causare avvelenamento delle falde idriche ed in certi casi anche terremoti), inoltre renderà possibile per i grandi investitori fare causa presso un tribunale costituito ad hoc per queste controversie ad un governo per mettere in questione le sue politiche nazionali, anche sociali o ambientali, se le ritengono lesive dei propri investimenti fatti nel Paese e questo diritto varrebbe per almeno venti anni mentre queste sentenze non prevederebbero l'appello.

Gli accordi TTIP hanno la potenzialità di cambiare sensibilmente la vita di tutti gli europei (e non solo perché avranno ricadute anche su altri Paesi che a loro volta hanno accordi con l?europa) ma qui da noi se ne parla pochissimo Quando la democrazia non è accompagnata da una informazione adeguata e trasparente, nelle società complesse come quelle in cui viviamo, di essa rimane poco più che l'apparenza.

Anche le stesse catastrofi naturali e gli aiuti umanitari vengono utilizzate per portare un passo più avanti la trasformazione dei paesi sulla strada della loro integrazione nel sistema globalizzato: lo ha spiegato bene Naomi Klein nel suo libro “The shock doctrine” illustrando il fenomeno in molti casi ed in diversi Paesi. Io, a proposito della pesca, posso raccontare ciò che ho visto personalmente avvenire a Sri Lanka immediatamente dopo lo tsunami del 2014.

Il governo locale allora in carica mise “per motivi di sicurezza” il divieto lungo tutta la costa di costruire o ricostruire abitazioni entro 100 metri dalla spiaggia che è dove la maggioranza dei pescatori viveva, ma il permesso restò - e ufficialmente rimane tuttora - solo per i grandi alberghi. L'intento sembrava quello di consegnare le splendide spiagge dell'isola ad uso esclusivo dell'imprenditoria del turismo di lusso, che è in gran parte di proprietà straniera, ma negli ultimi anni ora la famiglia del presidente ne sta acquisendo direttamente una quota importante.


Fino a quel momento, invece, il turismo era in gran parte a livello di imprenditoria familiare, di piccole pensioni e i cui guadagni si distribuivano tra un vasto numero di persone coinvolte a vario titolo nell'indotto dei servizi ai visitatori. Con il divieto di ricostruire questo tipo di economia diffusa veniva messo a rischio ed ora, dieci anni dopo, molte guest houses sono state ricostruite, ma sono in gran parte abusive e quindi tollerate per il momento, ma sempre dipendenti dalle decisioni del governo. Intanto i pescatori vennero allontanati dalle spiagge e messi nei campi di rifugiati.

Parallelamente a questo le donazioni di barche ed attrezzature da pesca che arrivavano come aiuti per lo tsunami da parte di Unione Europea e FAO (cose che da noi non si usano più perché obsolete o per la crescente scarsità di pesce) cambiavano la vita dei piccoli pescatori tradizionali che traevano da vivere, fino allora direttamente, con la pesca con il catamarano senza motore da due o tre persone. Queste attrezzature avrebbero presto reso, insieme alla costruzione di porti moderni, l'economia della pesca dell'isola sempre più dipendente dalle importazioni per gli ora necessari pezzi di ricambio ed accessori. Ed avrebbero messo il pescato disponibile nelle reti di questi pescherecci d'importazione (e degli investitori in grado di finanziarne i costi), più grandi ed efficienti e che richiedono un equipaggio più numeroso e specializzato, il che è estraneo alla struttura sociale e alle capacità economiche e imprenditoriali delle famiglie di pescatori tradizionali srilankesi i cui membri si sono presto trovati a scegliere tra un lavoro salariato e precario sui pescherecci ed un futuro di “nuovi cittadini” disoccupati nelle baraccopoli di Colombo.
La cosa più paradossale - naturalmente - è che tutto ciò sarebbe avvenuto “grazie” ai fondi che venivano donati non per “modernizzare” il paese, ma per ripristinare la vita delle vittime della catastrofe (in gran parte proprio questi piccoli pescatori) nelle condizioni in cui era prima!

Discorsi analoghi (sugli effetti perversi di cose che appaiono superficialmente benefiche) possiamo fare per vari aspetti della cosiddetta “green economy”, dal consumo di suolo agricolo qui in Italia per i megaimpianti di energie rinnovabili, alla sottrazione di terre utili alla produzione di cibo in Paesi già gravati da scarsità alimentare per produrre agrocarburanti. Molti sono i fatti che ci dicono quanto non è sia più un'epoca in cui possano bastare dei palliativi e delle operazioni d'immagine.

Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi, di limitarci a ciò che è realmente sostenibile e non è afftto detto che ancora sviluppo (comunque vogliamo chiamarlo, “sostenibile” o meno) lo possa essere: solo se guardiamo a contesti specifici di arretratezza uno sviluppo localmente centrato e focalizzato sulle reali esigenze della gente del luogo può essere positivo. Ma ciò è ben altro da puntare globalmente ed in modo generalizzato a modelli e prospettive di sviluppo. Perché queste non saranno sostenibili: oggi c'è da ridistribuire, soprattutto le possibilità e l'accesso, non da accrescere.

Per poter disporre di nuovi paradigmi naturalmente l'istruzione svolge un ruolo centrale. Naturalmente l'istruzione tecnico-scientifica, ma sarebbe anche importante rivalutare l'importanza di una formazione pratica, anche recuperando conoscenze empiriche ed abilità che si acquisiscono solo attraverso l'esperienza e la manualità. Al livello della conoscenza tecnico-scientifica, più propria delle università e della ricerca, il contributo per uno sviluppo adeguato alle esigenze reali di chi svolge i mestieri tradizionali e più sostenibili come i contadini, gli allevatori ed i pescatori su piccola scala, deve essere finalizzato a tecniche e tecnologie che uniscano il metodo dell'osservazione scientifica alle conoscenze empiriche degli stessi contadini e pescatori ponendo i due approcci su un piano paritario. Un esempio di questo può essere il metodo della selezione genetica partecipativa di Salvatore Ceccarelli.

Salvatore Ceccarelli è un genetista italiano; è stato professore ordinario di Genetica agraria all'Università di Perugia ed ha poi lavorato per 30 anni all'ICARDA (International Center for Agricultural Research in the Dry Areas) in Siria, un centro per la ricerca agricola in zone aride.
A differenza della ricerca non partecipativa, mentre in quest'ultima coloro che fruiscono dei risultati della ricerca non partecipano ad essa, in quella partecipativa succede esattamente il contrario.

Nel sistema istituzionalizzato di ricerca è l'offerta a guidare il processo: le poche varietà selezionate saranno quelle che verranno messe sul mercato e di fatto finiranno per egemonizzarlo. Nella stazione sperimentale si parte testando decine di migliaia di varietà diverse e poi le si riduce per selezione fino ad avere le pochissime migliori che poi vengono registrate, acquisendone i diritti, e commercializzate. L'agricoltore se le ritrova sul mercato, ma non ha alcuna voce in capitolo in tutto il processo che ce le ha portate. Al contrario, con il sistema partecipativo, tutto il lavoro di testaggio e di selezione, anziché nella stazione sperimentale, avviene sui campi degli agricoltori e con la loro diretta partecipazione.

I contadini scelgono loro stessi le varietà dalle quali partire, perlopiù varietà locali. Danno poi la loro valutazione dei risultati degli impianti sperimentali e sono loro a decidere cosa va selezionato e cosa scartato. Ricercatori e coltivatori conservano le loro prerogative incrociando i due tipi di conoscenza, scientifica ed empirica, per ottenere i migliori risultati. I ricercatori misurano i risultati e le caratteristiche delle varietà selezionate ed i contadini tengono conto dell'insieme di una serie di requisiti delle piante - che non è lo stesso per ogni villaggio e nemmeno all'interno dello stesso villaggio per ogni terreno ed ogni famiglia.

Dal punto di vista scientifico il sistema convenzionale nella stazione sperimentale e quello partecipativo sui campi dei contadini sono altrettanto validi. La differenza è che il secondo può essere praticato in migliaia di situazioni ambientali e sociali diverse tenendo conto delle loro peculiari caratteristiche.
Uno dei vantaggi di questo metodo è che si può adattare anche ad ambienti molto difficili ed in condizioni estreme.

Sul piano tecnologico esempi di sviluppo appropriato alle esigenze locali dei contadini può essere tutta una serie di piccoli attrezzi agricoli che sono stati inventati negli ultimi anni, da quelli specifici per l'agricoltura biologica da usare con il trattore a quelli elettrici da usare a mano (ad esempio per la potatura) nel cui campo alcune industrie europee sono all'avanguardia.
Queste conoscenze, tecniche e tecnologie possono facilitare il lavoro di molti produttori su piccola scala attraverso lo studio razionale delle esigenze specifiche nei diversi contesti: è l'industria e la tecnologia che deve adattarsi al particolare e non i contesti ecosistemici che devono uniformarsi perché i prodotti industriali pensati secondo modelli standard e produzioni su economie di scala possano funzionare. La ricerca dovrebbe cercare di comprendere come funziona l'ambiente nelle sue peculiarità e non l'ambiente che deve essere trasformato ad immagine del laboratorio.

Quanto invece all'importanza di riavvicinare i giovani alle conoscenze e le abilità pratiche, il ruolo fondamentale possono invece svolgerlo le scuole dell'obbligo e si tratta in primo luogo di una rivalutazione, di un restituire dignità e riconoscimento sociale alla manualità in rapporto con la Natura: bisogna tornare a che i ragazzi trovino una cosa normale maneggiare la terra, sapere che è una cosa viva, non una cosa che sporca i pantaloni nuovi firmati, che è da essa che viene il cibo che si mangia e che il cibo ce lo si può coltivare e produrre, che non viene solo dal suolo, ma che è il risultato di una complessità di fattori che chiamiamo ecosistema e che il suolo stesso lo è.

Questo aspetto della formazione dei ragazzi non deve limitarsi alle scuole professionali ma essere parte integrante di ognuno. In Italia, da questo punto di vista abbiamo avuto esempi significativi di questa consapevolezza, come Don Milani in passato o Gianfranco Zavalloni, recentemente scomparso, e ci sono nomi famosi nella Storia che hanno sostenuto l'importanza di questo aspetto fondamentale dell'educazione come Marcel Jousse e Lanza del Vasto in Francia o Gandhi e Vinoba Bave in India e, naturalmente, Lev Tolstoj in Russia, solo per fare alcuni tra gli esempi più illustri. Ma purtroppo si tratta di qualcosa di ancora estremamente minoritario, del tutto da riscoprire, mentre è diventato normale che un ragazzo o una ragazza oggi non sappiano immaginare da dove venga il cibo prima di arrivare sullo scaffale di un supermercato, né sappiano veramente come lo si possa cucinare e quale sia il suo vero gusto.

Perfino per quanto riguarda chi lavorerà la terra in età adulta l'ideologia dello sviluppo ha fatto piazza pulita di una visione profonda ed ampia di questa attività, riducendo tutto ad uno sfruttare la Natura per trarne reddito senza alcuna lungimiranza.
Giannozzo Pucci, un editore fiorentino che si è speso molto per una rivalutazione dell cultura contadina in Italia ed ha fondato il mercato della Fierucola del pane che si tiene a Firenze dal 1984 scrive: “il lavoro manuale con la competenza necessaria è l'elemento fondamentale del lavoro e dell'intelligenza umana e non può in nessun modo essere sostituito dall'alfabetizzazione, dai tecnici, dalla meccanizzazione ecc… e perciò occorrono scuole per formare contadini manuali, capaci di sostituire la fatica della corsa alla quantità con la qualità e la gioia dell'operosità competente fatta insieme. La vita familiare, comunitaria e la cultura vengono grandemente arricchite e tenute in vita dal lavoro manuale non massacrante fatto insieme, e la trasmissione orale e visiva delle conoscenze è un elemento insostituibile dell'educazione e della civiltà.”

Purtroppo non c'è traccia di questo nell'ordinamento scolastico italiano oggi.

L'Italia, un Paese che è stato in ampia misura agricolo fino a 50 anni fa, ma sembra aver voluto rimuovere le proprie radici ed oggi, che pure va di moda il cibo genuino, c'è scarsissima attenzione pubblica per i temi dell'agricoltura e pochi sono coloro che capiscono cosa si intenda quando si vuol distinguere fra agricoltura contadina ed agricoltura in generale.
Ho scritto il mio libro proprio per delineare le differenze tra le due tipologie sotto diversi punti di vista e secondo alcuni argomenti centrali nelle attuali politiche agricole e per la sopravvivenza stessa dei contadini di oggi in quanto tali.

In primo luogo il problema delle sementi a cui ho già accennato con la necessità di difendere i campi europei dalla possibile invasione degli OGM e più in generale l'urgenza di una rinegoziazione complessiva sui diritti di proprietà intellettuale sui semi e sugli organismi viventi: è necessario che i contadini abbiano la libertà di selezionare, riprodurre e vendere da sé i propri semi, non “liberamente”, il che lascerebbe solo spazio alle grandi industrie che sfuggirebbero così ai controlli, ma con norme che garantiscano loro una sovranità, non privata a fini di profitto, ma collettiva e su base locale sulle sementi autoprodotte. Oltre a questo occorre preoccuparsi di proteggere le api, senza le quali ha poco senso parlare di protezione della biodiversità e delle varietà locali e tradizionali delle piante.

In secondo luogo la questione dell'accesso alla terra: Vandana Shiva ha invitato i giovani italiani ad occupare i campi piuttosto che le piazze (a dir la verità non è che si vedano nemmeno molte piazze occupate se è per questo). Ne ha ben motivo, se pensiamo che il governo ha in programma di vendere 350.000 ha di terreni pubblici per rientrare in minima parte (6 miliardi previsti su oltre 2.000) sul debito pubblico perdendo così per sempre la disponibilità ed il controllo non solo di terreni agricoli, ma di pezzi di territorio, di ecosistemi, di paesaggio e di una risorsa preziosa per chi, senza mezzi finanziari, vuole ripopolare e coltivare le moltissime zone collinari abbandonate d'Italia: frane ed alluvioni ci mostrano sempre più spesso, più volte all'anno ormai, quali conseguenze sugli equlibri idrogeologici abbia in un Paese con questa morfologia l'abbandono del territorio da parte dei contadini. Per far tornare gente ad abitare e prendersi cura dei territori marginali serve dare la terra a chi la vuol coltivare, con precisi vincoli, non vendendogliela, e ci vuole un sostegno da parte dello Stato, non tanto in termini di denaro, ma di servizi, scuole, trasporti, uffici postali, connessione internet, cose che da noi sono state smantellate ormai quasi totalmente o che non sono mai state fatte nelle zone rurali e montane.

Il terzo argomento nel mio libro sono le politiche in materia di agricoltura , a partire dalla PAC ( la Politica Agricola Comune europea ) e le leggi che regolano la produzione e la vendita dei prodotti alimentari. L'anno scorso è stata approvata la nuova PAC per i prossimi sette anni, fino al 2020, ma, nonostante qualche miglioramento rispetto alle ultime edizioni, ancora vi è scarsa attenzione per l'agricoltura su piccola scala, ancora i sostegni vanno principalmente al settore agro-industriale. Alcuni dicono che in questo mondo, in cui vige il modello dato dal mercato globale, sono le aziende più competitive quelle che devono essere sostenute. Ma la domanda è: fino a che punto e in quale senso un'azienda il cui reddito è dato per il 70% dal sostegno della PAC può essere considerata "competitiva" ? Non siamo di fronte ad attivita' che si reggono quasi interamente su questo aiuto finanziario e che non sarebbero in grado di stare in piedi senza? Non si tratta dunque di soldi sprecati? Se guardiamo ai fatti con attenzione, fuori dai luoghi comuni dei media, le aziende agricole che possono reggersi sulle proprie gambe sono più probabilmente quelle dei contadini su piccola scala, che sono anche quelle più meritevoli di sostegno pubblico per le molteplici ricadute positive della loro presenza sul territorio. Ma i fatti ci dicono che sono proprio queste ad essere meno sostenute in quanto considerate "non competitive" e quindi arretrate.

Il punto, come la vedo io, è che, nel sistema attuale nei Paesi sviluppati, l'agricoltura ha perso la sua ragion d'essere tradizionale, che è sempre stata quella di fornire del buon cibo per la gente e di gestire l'ambiente in modo sostenibile e tale da conservare - e forse aumentare - la fertilità dei suoli per le generazioni a venire. Ora, nell'economia dei paesi sviluppati, il suo ruolo è stato trasformato fino a farla diventare soprattutto la giustificazione per una serie più ampia di attività economiche (anche ad essa estranee) come le industrie di macchine agricole, le compagnie petrolifere, l'industria agrochimica/petrolchimica, società finanziarie, società di assicurazioni, banche, istituti di ricerca ed universita', agenzie di assistenza tecnica e di marketing, lavoro per i sindacati, per tecnici, consulenti e professionisti, la grande distribuzione organizzata dei supermercati, le industrie alimentari di trasformazione, aziende di trasporti e così via ... Ecco perché solo l'agricoltura industriale è realmente sostenuta dai governi nazionali e dall'UE: l'agricoltura contadina e su piccola scala può ben essere più sostenibile, più in grado di dar di che vivere ad un maggior numero di disoccupati, più adatta a fornire cibo sano a livello locale e di preservare in buone condizioni i territori e la biodiversità, ma non può essere l'occasione per cui un tale volume di affari vi possa crescere intorno.

Di conseguenza, l'agricoltura industriale diventa il modello unico della produzione alimentare nei paesi sviluppati e percio' le norme sulla produzione alimentare, la trasformazione e la vendita vengono fatte a misura di questo stesso modello, in particolare sotto l'aspetto igienico-sanitario. Le produzioni contadine sono quindi penalizzate, emarginate e portate al limite dell'illegalità, quando si tratta di vendere i loro prodotti trasformati artigianalmente in azienda. Cio', nonostante il fatto che, se guardiamo a ciò che effettivamente accade, troviamo che negli ultimi decenni in Europa i veri pericoli per la salute dei consumatori di prodotti alimentari sono venuti sempre e solo dalle grandi produzioni industriali e non dai cosiddetti retrogradi piccoli agricoltori.
Per questo, nell'ultimo capitolo del mio libro faccio un tentativo di analizzare le norme dell'Unione Europea in materia e la mia tesi è che, pur restando nel quadro dei principi dichiarati nei regolamenti vigenti, è - o sarebbe, volendolo - possibile riconoscere il carattere distintivo dell'agricoltura contadina e permettergli spazi adeguati di agibilita' legale; e che le scelte che verranno o non verranno prese, rispetto a cio', dipendono esclusivamente dalla volontà politica di prenderle o meno da parte dei politici in carica a Bruxelles e di quelli a livello nazionale.

Infine, vorrei dire una parola dalla mia esperienza personale.
Sono andato a vivere in campagna da Roma con un gruppo di amici nel 1982, quando ero un diciannovenne ragazzo di città, senza la ben che minima conoscenza dell'agricoltura e con nessuna esperienza di vita di campagna. Ero uno dei tanti ragazzi della mia generazione con poca fiducia nel futuro, e avevo di fronte a me la scelta tra una vita da marginale disoccupato o un impiego che mi avrebbe dato forse un po' di soldi, ma probabilmente ben poche soddisfazioni sul piano esistenziale, o almeno questo era il modo in cui la vedevo allora. L'incontro con alcune persone che, pur con mille difficolta', riuscivano davvero a vivere di un' agricoltura su piccola scala, coltivando un orto, allevando pochi animali per autoconsumo ed in parte integrando tutto cio' con la vendita dei loro prodotti per ottenere quanto bastava di denaro liquido, anche integrando, se necessario, con altri lavori occasionali, mi ha dato una prospettiva nuova per guardare alla mia vita che da allora non ho mai lasciato. Un grande senso di libertà per aver trovato il modo di scegliere la direzione e lo stile della mia vita.

Le cose cosi' si son presentate in modo forse più difficile di quanto sarebbero state altrimenti, a volte, ma ora che ho cinquant'anni, so che questa scelta non è solo il modo per garantirci di poter mangiare del buon cibo e vivere in un ambiente sano, bensi' - che oggi è forse l'aspetto più prezioso - è la via per attingere ad una "risorsa esistenziale" fondamentale per la qualità ed il senso che possiamo trovare nella nostra vita. Sono convinto che, di fronte alla profonda crisi di sistema che le nostre società si trovano ad affrontare oggi, non "tornare" (che non è mai possibile), ma accettare la sfida di guardare avanti ad una forma aggiornata di vita contadina come alternativa sostenibile, sia a livello individuale che collettivo, può essere una scelta credibile e lungimirante per molti giovani che hanno poche ragioni oggi per credere in un futuro soddisfacente nelle condizioni date.
Non credo si tratti di utopia: semplicemente sta a noi che viviamo in questa epoca costruire le condizioni per cui questa possa diventare una semplice scelta possibile e non un percorso ad ostacoli .
Se consideriamo i molteplici effetti positivi della presenza della piccola agricoltura sostenibile sul territorio, rendere questo percorso più facile per un numero maggiore di persone di quanto non lo sia ora, attraverso leggi e politiche adeguate, è nell'interesse di molti più di coloro che sceglieranno di fare di esso la propria vita.




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