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CONVENIENZA

(versione PDF)

Ricordo, diversi anni fa, una riunione tra agricoltori della mia zona sulla possibilità di un interessamento dell'amministrazione comunale nel sostenere l'agricoltura biologica nel comprensorio. Partì un'accesa discussione tra “biologici” convinti e possibilisti tra cui ricordo l'intervento di un partecipante dal tono smaliziato che diceva: “….insomma, vogliamo capire se ci conviene o no fare questa agricoltura biologica?”

Capisco, ma penso ci siano decisioni che vanno prese a prescindere.
Su certe cose non si può ragionare in questi termini: finchè si ragiona così si rimane in una visione miope e limitata, che crede di essere concreta e realistica solo perchè elimina quasi tutto dal suo orizzonte lasciando solo ciò che gli è comodo vedere.
Capisco l'importanza degli incentivi statali alle riconversioni produttive - come pure patrimoniali - in senso ecosostenibile. Credo sia doveroso da parte delle amministrazioni destinare fondi a questo scopo e, dove non lo fanno, è giusto richiederglielo con forza e denunciare sprechi ed impieghi di risorse in modi inutili e dannosi. Ma non credo l'inadempienza di questo dovere pubblico possa essere un alibi privato. Non credo sia un buon inizio, volendo percorrere una nuova strada, cominciare col protestare perchè qualcuno non ce l'ha già perfettamente asfaltata e completata con comode aree di servizio. E mi sembra un'ottica un po' troppo teorica e “politicista” l'identificare questa protesta come equivalente ad un inizio di percorso. E' forse un modo di prendere la cosa a monte, sì, ma così a monte che si rischia di non prenderla mai davvero. Come se prenderla semplicemente e direttamente nel proprio piccolo non valesse la pena.
Forse è anche questa, in fondo, un'ottica di convenienza, solo un po' più alta di quella di quell'agricoltore.

A chi è che “conviene” o “non conviene” nel suo caso? Chi è colui che si pone questa domanda? Qual'è la visione/consapevolezza che ha di sè stesso? E cosa significa “convenire” o meno? Su quale scala e da che punto di vista?
Nel farci domande riguardo a scelte da prendere nella nostra interazione con l'ambiente dobbiamo avere una visione più ampia, capire qual'è il nostro posto nell'universo, o anche solo su questo pianeta, nell'insieme della Natura. E sapere che l'agricoltura non è una attività economica come un'altra, ma è il luogo principale in cui avviene la nostra interazione con l'ambiente naturale ovvero in cui si esprime il nostro posto nel mondo.
La decisione se fare agricoltura biologica o chimica è a monte del “conviene” o “non conviene”, e questo è un esempio che vale, a livello di una società come pure a livello individuale, anche per molte altre scelte che hanno importanza strutturale (come quelle sul nucleare e sulle fonti energetiche in genere, sui brevetti sulla vita e gli OGM, sulle strategie relative alle opere pubbliche….). Altrimenti, in quest'ottica “usa e getta” unilateralmente economicista della “convenienza”, abbiamo già messo noi stessi in vendita al ribasso, con addosso un bel cartello con scritto “SALDI”.

Questa civiltà del capitalismo superavanzato non ci mostra affatto il promesso paradiso della libera iniziativa dove la ricerca del profitto individuale avrebbe avuto come ricaduta il benessere generale, ma, al contrario, vediamo precarietà ed incertezza montare di giorno in giorno, pur in mezzo ad una superficiale opulenza, mentre trionfa, di fronte ai nostri occhi, come realtà e come metafora emblematica dei nostri tempi, un grande simbolo di convenienza:
il Megadiscount.

“Il mondo non è in vendita”, si diceva ancora pochi anni fa.
No, infatti. Quel passaggio è stato saltato (o accuratamente occultato): sarebbe stato troppo plateale.
Ora, però, siamo già più avanti: il mondo è direttamente in svendita, così ce n'è per tutti un po' da esser contenti.
Ci si accontenta di poco, soprattutto in qualità. Basta quel tanto che dia l'impressione di avere qualcosa. E che la ridia ogni giorno. L'impressione di avere ancora sotto controllo il meccanismo. Di essere pur sempre i soggetti e non gli oggetti del mercato. Di essere ancora noi i consumatori e non già, ormai, le merci…..in questo sistema formalmente democratico, ma fondato e funzionante di fatto sull'adesione plebiscitaria al consumismo di massa, rispetto al quale, ciò che rimane delle tradizioni politiche e culturali della destra e della sinistra, hanno ormai ben pochi margini di manovra, sia da una parte che dall'altra - semmai pure li volessero avere.
Restano ormai come simulacri, residuali coazioni a ripetere la cui funzione principale è quella di oscurare il fatto sostanziale che in questo sistema la risorsa più preziosa, delicata, decisiva, più indispensabile del petrolio e dell'acciaio, siamo appunto noi consumatori e il nostro consenso che diamo quotidianamente nei fatti, quali che siano le nostre tendenze, le nostre opinioni e le nostre parole.
Per queste possiamo tranquillamente accomodarci: abbiamo la massima libertà……infatti, di per sè, non contano.
Non basteranno, purtroppo, a cambiare le cose.

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